Sarà probabilmente affidato oggi a Mario Draghi l’incarico di formare un governo tecnico, “di alto profilo”. Una figura in passato provvidenziale, che dovrà ora affrontare una delle più ardue sfide economiche degli ultimi decenni.
Laureato all’università La Sapienza di Roma nel 1970, e allievo dell’economista keynesiano Federico Caffè, ottenendo un dottorato in Economia al Massachusetts Institute of Techonology. Dopo essere stato accademico di rango, è diventato direttore esecutivo della Banca Mondiale tra il 1984 e il 1990. Dal 1991 al 2001 è stato direttore generale del ministero del Tesoro e Governatore della Banca d’Italia dal 2005 al 2011.
Ma è nel 2011 che rivestì il ruolo più significativo della sua carriera diventando presidente della Bce, quando lo scenario economico europeo e mondiale era provato dalla crisi del 2007 che allora aveva messo a dura prova anche la stabilità europea.
Nel 2012, alla Global Investment Conference di Londra, pronunciò le parole che diedero una svolta alla crisi dell’euro. Durante quell’occasione affermò che la Banca Centrale sarebbe stata pronta a fare “whatever it takes” (“qualunque cosa serva”) per salvare la moneta unica. Un segnale agli speculatori: la Bce era diventata un prestatore di ultima istanza per il sistema dell’euro.
Nel 2014, Mario Draghi divenne protagonista di una nuova politica monetaria con l’adozione dell’allentamento quantitativo per contrastare l’inflazione troppo bassa. Portando la Bce tra il 2014 e il 2018 a acquistare obbligazioni per un totale di 2,6 miliardi di euro.
Lo scorso marzo si era espresso così sulla pandemia: “Se molti temono la perdita della vita, molti di più dovranno affrontare la perdita dei mezzi di sostentamento. La sfida che ci si pone davanti è come intervenire con la necessaria forza e rapidità per impedire che la recessione si trasformi in una depressione duratura”.
Quasi un anno dopo l’uomo del “whatever it takes” è chiamato a affrontare un’altra crisi.