Il 20 dicembre 2006 Piergiorgio Welby vinse la sua battaglia per il fine vita legale. Il co-presidente dell’Associazione Coscioni, affetto da distrofia muscolare, aveva 60 anni quando riuscì ad ottenere la sedazione profonda e il distacco delle macchine che lo tenevano in vita. Fu il primo a porre questa richiesta, chiamando in causa le istituzioni. L’uomo scrisse una lettera all’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per richiedere l’eutanasia. Ma il tribunale di Roma dichiarò la proposta “inammissibile”, a causa del vuoto legislativo in materia. Pochi giorni dopo, fu Mario Riccio a staccare la spina del respiratore. L’anestesista venne poi assolto dall’accusa di omicidio del consenziente.
La malattia progressiva permetteva a Welby di comunicare solo con gli occhi. La moglie Mina ha portato avanti la battaglia, diventando co-presidente dell’Associazione Coscioni. “Io non ho mai sofferto per il lutto dopo. Il lutto lo avevo già attraversato prima”, ha dichiarato Mina in un’intervista a Fanpage.
Dopo di lui, ci sono stati diversi casi che hanno scosso le coscienze e che hanno tentato di denunciare l’assenza dello Stato in materia. A distanza di 15 anni il Parlamento non ha ancora legiferato sul suicidio assistito e sull’eutanasia, nonostante le varie esortazioni della Consulta. Un vuoto che sarà colmato in primavera, quando si voterà per il referendum sull’eutanasia, firmato da oltre un milione e duecentomila italiani. Il prossimo 15 febbraio “si terrà l’udienza in Corte Costituzionale sull’ammissibilità del referendum di abrogazione parziale dell’articolo 579 del codice penale relativo all’omicidio del consenziente”, ha annunciato il segretario dell’Associazione Coscioni, Filomena Gallo.