Il 3 e il 4 ottobre si vota. 12 milioni di cittadini saranno chiamati a scegliere i sindaci di 1.154 comuni tra i quali sei capoluoghi di Regione: Torino, Milano, Roma, Napoli, Trieste e Bologna. In Calabria si andrà alle urne per scegliere il presidente della Regione. Quello amministrativo sarà un voto cruciale per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che prevede che il 60% dei fondi sia destinato al livello locale. Sulla ricostruzione del Paese, nel periodo post pandemia, peserà soprattutto la capacità che avranno le amministrazioni locali di spendere i finanziamenti. Le formazioni politiche poi si dovranno confrontare con i voti effettivi e le sconfitte locali potranno pesare in modo rilevante sulla vita dei partiti.
Come sceglieranno i cittadini
Malgrado le possibili ripercussioni nazionali, a poche ore dal voto non è affatto scontato che le preferenze dei cittadini saranno frutto di una scelta politica e ideologica. Anzi, il politologo Roberto D’Alimonte conferma a Lumsanews che “i fattori locali saranno predominanti”. A Roma, ad esempio, saranno determinanti temi quali i “trasporti, la sicurezza e nettezza urbana”. A Milano, “il verde e le piste ciclabili sono diventate un tema di acceso scontro elettorale”. Al di là degli orientamenti ideologici dell’elettorato, non è da non trascurare anche la personalità del sindaco che, come spiega il politologo Gianfranco Pasquino, in diversi casi potrebbe essere l’ago della bilancia della contesa elettorale. Anche la valutazione sulla passata gestione, sottolinea, è uno dei fattori da tenere in considerazione, come nel caso di Sala a Milano e di Raggi a Roma, mentre “in tutti gli altri casi sarà una scommessa”. Da non sottovalutare il voto degli indecisi, che Pasquino valuta pari al 40% dell’elettorato”, e che prenderà una decisione definitiva “gli ultimi due o tre giorni”. L’affluenza alle urne al primo turno è stimata al 50%, afferma D’Alimonte, sottolineando che il dato varierà “a seconda dell’intensità dello scontro politico e dell’appeal dei candidati politici. Al secondo turno invece – aggiunge il politologo – è possibile che la partecipazione diminuisca e si collochi tra il 40 e il 50%”.
Che cosa dicono i sondaggi
I sondaggi, fermi al 17 settembre, confermano differenze evidenti tra i risultati del primo turno e le percentuali di preferenza al ballottaggio. I numeri raccontano di un centrosinistra in pole per la vittoria finale a Roma, Milano, Bologna, Napoli. Più aperte le sfide su Torino e Trieste, unici capoluoghi, tra le grandi città al voto, in cui il centrodestra resta appaiato al Pd al secondo turno, seppur ancora un passo indietro. In corsa solo per Napoli il Movimento 5 Stelle, che, dopo aver amministrato Roma e Torino nell’ultima giunta, riuscirebbe ad agguantare il secondo turno solo con il candidato partenopeo Gaetano Manfredi, appoggiato anche dal Pd. Se al buon umore dei pentastellati basterebbe la vittoria di Manfredi, una sconfitta su tutti (o quasi) i fronti sarebbe un vero “cappotto” per il centrodestra, coalizione che a livello nazionale ha la maggioranza – seppur relativa – dell’elettorato italiano in vista delle politiche. I sondaggi, però, come ci spiega il sondaggista Renato Mannheimer, oggi più che mai potranno essere smentiti in sede di scrutinio, perché risentono di fattori sociologici. “Bisogna ricordare che in tutta Europa, persino a Istanbul, nelle grandi città per i sondaggi vince sempre il centrosinistra – spiega -. “Si tratta di un fenomeno sociologico da studiare, perché il pubblico della sinistra si è trasferito dalle periferie ai centri urbani”. Tradotto: se è vero che negli ultimi sondaggi per le politiche il centrodestra è al primo posto quasi la metà delle preferenze, e a questo aggiungiamo il voto dei dubbiosi, la partita è tutt’altro che decisa.
Le ripercussioni sul governo e sui partiti
Le ripercussioni nazionali si agitano come uno spettro sul voto. “Le amministrative sono un test del bel niente”, concordavano pochi giorni fa a Porta a Porta Matteo Renzi e Giuseppe Conte. Eppure stavolta l’eco della politica nazionale potrebbe smentire molte previsioni. Quel che è certo è che la tenuta del governo non sembra essere a rischio. L’esecutivo, spiega Pasquino, è blindato da un ampio sostegno parlamentare e dall’autorevolezza del premier Mario Draghi, sotto la cui regia passano le importanti riforme economiche e sociali necessarie alla ripresa dell’Italia.
“Se anche il Movimento 5 stelle dovesse perdere molti voti – sostiene Pasquino – questa circostanza costituirebbe una ragione in più per rimanere al governo”. Qualora Matteo Salvini invece decidesse di lasciare l’esecutivo, “la maggioranza ci sarebbe lo stesso, con qualche vantaggio per Forza italia”. A far dormire sonni tranquilli all’esecutivo contribuisce il fatto che uno dei partiti a rischiare di più in questa tornata elettorale, come dice Massimo Cacciari a Lumsanews, è il Partito democratico, quello più governista. “Nel Pd potranno esserci dei contraccolpi. Si tratterà in particolare di vedere cosa accadrà a Roma e quali saranno le sorti di Enrico Letta nelle suppletive di Siena”, spiega il filosofo, ribadendo che il segretario dem ha bisogno di vittorie per mettere a tacere le voci interne contrarie all’alleanza con il M5S. Anche perché, come avverte il politologo D’Alimonte, i pentastellati rischiano di non arrivare al ballottaggio né a Roma né a Torino. In più, spiega, è difficile pensare che al secondo turno ci possa essere un travaso di voti ai candidati democratici, visti i rapporti tesi al livello locale tra le due formazioni politiche. Si tratta di tattiche interne ai partiti e alle coalizioni, che non risparmiano neanche il centrodestra. Qui è scontro aperto per la leadership tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini, ma migliaia di liste civiche e partiti locali impediranno una valutazione oggettiva del peso delle liste di Lega e Fratelli d’Italia.