Morti silenziose. Sono quelle che si consumano dietro le sbarre degli istituti penitenziari italiani. Nel 2024 sono stati 83 i suicidi tra i detenuti registrati dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. A questi si aggiungono 20 decessi le cui cause sono ancora da accertare. Un fenomeno drammatico che sembra confermarsi anche nel 2025. Nelle prime due settimane dell’anno sono state già otto – sei in maniera acclarata e due in circostanze ancora da accertare – le persone che si sono tolte la vita in una struttura carceraria. Tra questi anche un agente penitenziario nel carcere di Paola, in Calabria. Un altro tragico record che rende ancora più urgenti interventi e soluzioni per fermare una strage senza voce.
Suicidi in carcere dal 2022 al 2024
Tra sovraffolamento e isolamento
Si intitola emblematicamente “Nodo alla gola” il XX rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia redatto da Antigone, l’associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale. Tra le 87 carceri visitate dall’osservatorio dell’associazione nel 2024, ben 28 istituti — pari al 32% del totale presentavano celle in cui non erano garantiti i tre metri quadri di spazio calpestabile per ogni persona reclusa. Condizioni detentive che violerebbero gli ultimi orientamenti della Cassazione e l’articolo tre della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Ma anche l’articolo 27 della Costituzione, come ricorda a Lumsanews la senatrice Ilaria Cucchi. “La nostra Carta fondamentale prevede che le pene non possano consistere in trattamenti disumani e debbano tendere alla rieducazione”. Eppure, continua, “nelle carceri la realtà quotidiana parla un linguaggio totalmente differente”.
Il filo conduttore emerso dalle visite di Cucchi negli istituti penitenziari è infatti “la sofferenza della popolazione detenuta”, racconta la senatrice. “Non bisogna fermarsi alla punta dell’iceberg, ma relazionare i suicidi a un’accumulazione di elementi. Tra questi c’è il sovraffollamento, che però non deve essere letto come l’unica causa dei crescenti casi”, spiega. Dello stesso avviso anche Sofia Antonelli, membro dell’osservatorio sugli istituti penitenziari del Lazio di Antigone. “Un carcere più sovraffollato produce meno attenzione sui i percorsi delle persone più fragili”, osserva la ricercatrice.
Il momento più delicato è quello dell’ingresso nelle strutture. Molte persone decidono infatti di togliersi la vita nei primi mesi o addirittura nelle primissime settimane della detenzione, come è avvenuto nel carcere di Regina Coeli a inizio gennaio. Qui un 23enne di nazionalità romena si è tolto la vita dopo meno di tre settimane di detenzione. Quelle iniziali sono “le fasi più delicate”, spiega Antonelli, “dove i pensieri intrusivi sembrano condensarsi”. Analogamente, anche l’isolamento detentivo potrebbe costituire un fattore concorrente, come dimostrato dal tasso di suicidi nelle strutture a custodia chiusa, che a differenza delle sezioni aperte limitano il movimento autonomo dei detenuti. “Diversa letteratura scientifica dimostra come l’isolamento abbia un impatto molto forte sulla salute soprattutto psichica” evidenzia l’esperta dell’associazione Antigone.
Sezioni in cui sono avvenuti i suicidi nel 2024
Prevenzione senza spazio e risorse
L’allarme sul fenomeno arriva anche dai sindacati di polizia penitenziaria. Emblematico, secondo il segretario generale della Uilpa Gennarino De Fazio, è uno degli ultimi episodi verificatisi a Cagliari, dove un 49enne già classificato come a rischio suicidario si è tolto la vita. “Per cercare di prevenire non si è potuto fare altro che allocarlo in una cella con altri detenuti. Siamo all’autosorveglianza”, racconta De Fazio. Un paradosso se si pensa che nel 2023 il Comitato interministeriale sull’edilizia carceraria presieduto dal vicepremier Matteo Salvini aveva stanziato 166 milioni di euro per l’edilizia di nuovi istituti penitenziari.
Per il sindacalista aumentare i posti detentivi non sarebbe comunque risolutivo. “Il governo ripete lo stesso mantra da almeno un anno ma i posti disponibili vanno via via diminuendo invece che aumentare. Se anche si riuscissero a creare i 7000 posti detentivi promessi, questi non basterebbero”. Un punto confermato dal Garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasìa: “I detenuti presenti negli istituti penitenziari italiani alla fine dell’anno scorso erano 61.861 a fronte di 46.839 posti effettivamente disponibili. È chiaro che il sovraffollamento renda insufficienti spazi, personale e attività per il reinserimento dei condannati”.
Le carenze non toccano però solo le condizioni dei soggetti reclusi. Con un deficit di 18 mila unità, il crollo del sistema è visibile anche tra gli agenti. “È un lavoro disumanizzante specie per le turnazioni massacranti di 12, 14, a volte anche 24 ore ininterrotte”, denuncia De Fazio. A fargli eco anche Ilaria Cucchi. “Portano sulla loro pelle, così come nelle proprie vite, i segni di questa mancanza di cura e interesse da parte dello Stato che rappresentano”.
L’importanza del supporto psicologico
Per sopperire a questi deficit, nel 2024 il governo ha deciso di erogare cinque milioni di euro all’amministrazione penitenziaria per il potenziamento dei servizi trattamentali e psicologici negli istituti. Ma secondo il parere di Vito Michele Cornacchia, ex psicologo del carcere San Giorgio a Lucca, il problema non risiede nell’erogazione dei fondi bensì in un sistema disomogeneo. “Se manca l’organizzazione, il problema sarà sempre a monte. Serve un servizio specialistico” denuncia Cornacchia. Quando si parla di suicidi, l’arma più importante dovrebbe essere infatti quella della prevenzione verso i soggetti più fragili. “I detenuti”, conclude lo psicologo, “devono scontare la pena come persone, non come animali”.
A parlare, dunque, non dovrebbero essere i numeri sterili, ma le storie delle persone. La chiave risiede nel comprendere il passato e lo stato d’animo con cui il detenuto arriva in carcere. Un modus operandi che può fare la differenza tra la vita e la morte, prevenendo anche un possibile gesto estremo.