Sei corridoi, cinque terrestri ed uno marittimo, provenienti dall’Oceano Indiano via canale di Suez e poi diretti verso l’Europa centrale e la Germania. Sono le famose “nuove vie della Seta”, ufficialmente Belt and Road Initiative (BRI), il maxi progetto infrastrutturale della Cina di Xi Jinping.
Nonostante le posizioni contrarie espresse negli ultimi giorni da Stati Uniti ed Europa, l’Italia si prepara a seguire Grecia e Portogallo e ad aderire da questa primavera al progetto. L’occasione per firmare il memorandum d’intesa sarebbe la visita del presidente cinese Xi Jinping in Italia, il 22 e il 23 marzo.
Oggi il ministro degli Esteri cinese Wang Yi a una domanda sulle “pressioni esterne”, in particolare degli Usa, sull’adesione di Roma al BRI ha risposto che l’Italia è storicamente una “fermata della Via della seta” e ha aggiunto che “è un Paese indipendente” e anche la decisione presa dal governo italiano dovrebbe essere portata avanti “in modo indipendente”.
L’Italia ricopre una posizione privilegiata all’interno del progetto cinese, con i suoi porti dell’Alto Adriatico, come Venezia e Trieste. Proprio quest’ultima ha la caratteristica speciale di essere un porto franco che offre un vantaggio doganale notevole a chi lo utilizza. È anche ben collegata alla linea Vienna-Monaco e ricopre una posizione storicamente autonoma, a cavallo tra l’Italia e l’Europa. Ma l’ipotesi di un accordo tra Roma e Pechino spaventa gli Stati Uniti che proprio ieri hanno consegnato al nostro paese un duro monito, arrivato attraverso le parole di Garret Marquis, portavoce del National Security Council, organo della Casa Bianca.
Da parte sua il presidente Usa, Donald Trump, sta portando avanti una vera e propria guerra di dazi contro la Cina. Il surplus commerciale cinese con gli Stati Uniti si è quasi dimezzato su base mensile a febbraio (14,72 miliardi di dollari contro i 27,30 miliardi di gennaio), a causa degli effetti dei dazi all’import del “made in China” imposti da Trump. Il saldo, in base ai dati diffusi dalle Dogane, è il più basso da marzo 2018 per effetto del crollo dell’export (-20,7% a 135,24 miliardi) e della frenata dell’import (-5,2% a 131,12 miliardi).