«Siamo in difficoltà», così il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ammette lo stallo sul Recovery Fund, perché lo «Stato di diritto è una questione fondamentale, al centro del progetto Ue». Ma il veto di Polonia e Ungheria, legato proprio al meccanismo sul rispetto dei trattati comunitari, potrebbe essere un’arma spuntata.
Dopo il presidente del Parlamento europeo David Sassoli e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, infatti, anche il commissario Ue per l’economia Paolo Gentiloni stamattina ha detto chiaramente: “Andiamo avanti anche senza di loro”.
Certo, il premier ungherese Viktor Orban conferma il veto, sostenendo che «l’Ungheria ha strumenti molto persuasivi per convincere l’Unione europea a trattare» e che comunque Budapest «non ha bisogno degli aiuti del Next Generation Ue». Tuttavia non solo Gentiloni ha ribadito che non ci si può «arrendere a un ricatto», ma anche il dialogante Michel, dopo aver auspicato «che ogni ostacolo sia superato e che alla fine il negoziato porti a un accordo», non sembra disposto a cedere alle richieste di Polonia e Ungheria. Quindi si potrebbe procedere con il meccanismo di cooperazione rafforzata. Basterà un accordo a 25 per dare avvio alla distribuzione del fondo da 750 miliardi, ma in questo caso a rimetterci sarebbero proprio Polonia e Ungheria, che resterebbero senza soldi. I due paesi dell’Est sono infatti da anni beneficiari netti: prendono molto più di quello che danno al bilancio Ue.
Forse proprio per questo sia Michel che Gentiloni si sono detti «fiduciosi che alla fine tutto sarà risolto nei prossimi giorni e che alla fine questo veto sarà superato». O meglio, ritirato.