La Francigena festeggia il 20esimo anniversario del suo riconoscimento a Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa, data l’importanza rivestita da un percorso che lega spiritualità, storia, arte, tutela dell’ambiente ed enogastronomia lungo ognuno dei suoi 1900 chilometri di percorrenza e che ha il pregio di mettere in comunicazione tra loro luoghi, culture, usi e costumi che spesso sono avvertiti come troppo distanti tra loro, anche in un’epoca in cui bastano poche ore di volo per giungere da un capo all’altro del mondo.
La Francigena è un cammino, una via di pellegrinaggio, che unisce l’Europa del nord a quella del sud, seguendo una linea retta che dalla cittadina inglese di Canterbury conduce il viandante sino all’ingresso della Basilica di San Pietro, passando per Francia e Svizzera. Una vera e propria “autostrada” d’epoca su cui si transitava per raggiungere Santiago di Compostela, per chi andava verso nord, e i porti pugliesi in direzione di Gerusalemme e del Santo Sepolcro in Terrasanta.
Nel corso dei secoli, le varie vie che furono inglobate sotto il nome di Francigena vennero attraversate da mercanti, eserciti e, ovviamente, pellegrini. Grandi personaggi della storia si cimentarono nell’impresa, un po’ per caso un po’ per volontà, ognuno con una motivazione differente: da Annibale a Sant’Ambrogio vescovo di Milano, da Sigerico arcivescovo di Canterbury, a cui dobbiamo una prima trascrizione delle 79 tappe di sosta che oggi compongono la via ufficiale, a Napoleone, fino ad arrivare a Stendhal, Dumas e Giovanni Paolo II. Inizialmente, la via era chiamata Strata Romea e solo in seguito venne chiamata Strata Francisca, con il significato proprio di “strada dei francesi”, osservando che francesi si consideravano tutte quelle popolazioni che vivevano oltralpe, non solo gli “odierni” francesi.
Il tratto della Francigena che attraversa la Penisola è lungo circa 1000 km (escludendo il tratto che da Roma arriva a Brindisi) e ha inizio sul passo del Gran San Bernardo, dove c’è la possibilità di essere accolti dall’omonimo ospizio fondato nella metà dell’XI secolo da Bernardo, arcidiacono d’Aosta. Il pellegrino si ritrova così sovrastato, dopo tanto camminare tra le colline e le pianure francesi, dalle alte vette alpine e immerso nelle vallate montane valdostane, che già dopo pochi passi fanno sentire a casa quei pochissimi italiani che decidono di affrontare per intero il lungo cammino. Infatti, dei pochi pellegrini che s’incontrano sulla Via, ad oggi pare che il numero si attesti sulle 1200 presenze (niente a che vedere con i mastodontici numeri di Santiago di Compostela), solo una minima parte è rappresentata da italiani; la maggioranza è composta da francesi, tedeschi e olandesi.
Una volta affrontato il passaggio sulle Alpi, si giunge sulla parte più monotona e, se vogliamo, più ardua del cammino, quantomeno a livello mentale, ossia le immense risaie che costellano la piattissima pianura padana, habitat di numerose specie avicole, ma anche di rettili e anfibi vari. Inoltre, non si possono certo dimenticare le micidiali zanzare tigre, che mai un istante hanno esitato a fiondarsi costantemente su ogni singola parte scoperta del corpo, lasciando segni indelebili di punture che, prima ancora di qualsiasi altro segno di riconoscimento, dimostravano alle popolazioni locali lo status di pellegrino.
Giunti al passo della Cisa, valico che unisce l’Appennino ligure all’Appennino tosco-emiliano, si ricominciano a vedere montagne e sentieri tortuosi, caratterizzati da una notevole difficoltà: si tratta, infatti, di percorsi tracciati dallo stesso Club Alpino Italiano, poco idonei, quindi, ad un vero e proprio pellegrinaggio, soprattutto per il carico che il viandante si porta sulle spalle, decisamente superiore ad un normale zaino da trekking. Si arriva così in Toscana, che ammalia e affascina il viaggiatore con i suoi paesaggi da cartolina, talmente belli che mettono in difficoltà chiunque decidesse di scattare fotografie. Non si riuscirà mai a decidere per il paesaggio più bello o il più interessante. Ogni angolo, ogni passaggio riserva una sorpresa. Soprattutto si passano le più belle cittadine di tutta la Francigena: Lucca, Siena, Monteriggioni, San Quirico d’Orcia, Radicofani, ultima sosta toscana; quest’ultima particolarmente emozionante poiché dalla sua sommità, dove risiede un’antica fortezza, si ha una veduta che copre circa una 50ina di chilometri, permettendo al pellegrino di vedere le tappe successive, Acquapendente e l’immenso lago di Bolsena. Anche le tappe laziali riservano gradite sorprese, come la parte storica di Viterbo e la cittadina di Sutri, famosa per l’antica donazione-restituzione effettuata dai longobardi a favore della Chiesa.
Gli ultimi chilometri, purtroppo, sono caratterizzati da tanto asfalto e tante macchine, che cercano, invano, di strappare il pellegrino alla serenità e alla pace interiore creatasi durante i molti giorni di cammino. Fastidi che vengono ben presto dimenticati alla vista del magnifico “Cupolone”, che dal Mons Gaudi (Monte Mario) generosamente si offre nel massimo del suo splendore alla vista dell’ormai stanco viaggiatore, che dopo tante peripezie può finalmente essere accolto dal caldo abbraccio del bianco portico di San Pietro e fermarsi a contemplare la bellezza, spirituale e architettonica, della Basilica e, allo stesso tempo, cercare di realizzare dentro di sé l’esperienza compiuta.
Renato Paone