“Porgo la mano anche agli elettori di Hofer. Il mio obiettivo per i prossimi sei anni è che i cittadini, che mi incontreranno per le strade, in metropolitana oppure in paese, dicano ‘Guarda, il nostro presidente’ e non solo ‘il presidente'”. Con questo messaggio, Alexander Van der Bellen neo-presidente austriaco e primo presidente verde europeo ha concluso la più lunga e controversa campagna elettorale della storia recente del paese alpino.
Van der Bellen partiva da sfavorito, come era sfavorito il 22 maggio, appuntamento elettorale poi annullato per irregolarità del voto all’estero. Come in quella domenica di maggio il suo sfidante Hofer e il suo Partito delle Libertà godevano delle simpatie dalle destre europee, da Viktor Orban a Giorgia Meloni. Ciò che è cambiato dal primo ballottaggio è stata la proporzione della vittoria dei Verdi: a maggio il vantaggio di Alexander Van der Bellen era ridotto a un esiguo 0,6%. Ieri il vantaggio del candidato di sinistra si è assestato sul 6%, con buona pace dei sondaggisti che avevano previsti un testa a testa all’ultimo voto.
L’elezione del professore austriaco (così viene chiamato in Austria) ha però un valore anche in chiave europea. Van der Bellen è l’uomo che ha fermato l’onda d’urto di Trump e della Brexit, che, se avesse raggiunto il cuore dell’Europa, avrebbe potuto scatenare effetti devastanti. Nel confronto con Hofer, il candidato dei Verdi ha vestito i panni del candidato dell’ ”Austria europeista”; si è definito molte volte “figlio di profughi” e ha sostenuto che ha vinto grazie ai “vecchi valori di libertà, uguaglianza e solidarietà”.
Hofer ha ammesso la sconfitta e si è detto “immensamente triste”. Ma nel farlo si è anche candidato alle prossime elezioni parlamentari a “sostegno del leader Fpö, Heinz Christian Strache”. Anche se sembra chiaro come il volto pulito del partito sia diventato il suo, e che le posizioni estreme di Strache si siano rivelare controproducenti per il Fpö.