Una lista di 210 nomi tra politici e oligarchi russi, vicini al presidente Vladimir Putin, e che potrebbero essere oggetto di sanzioni, è stata diramata dal Dipartimento del Tesoro americano. Tra i nomi di quella che è stata chiamata “Putin list” figurano anche Roman Abramovich, proprietario del Chelsea, il magnate Oleg Deripaska e l’uomo d’affari Vladimir Potanin, oltre che gli amministratori delegati di Gazprom e Rosneft, rispettivamente Aleksey Miller e Igor Sechin. La redazione della lista era prevista dalla legge approvata dal Congresso per varare nuove sanzioni contro la Russia, in risposta alle sue interferenze nelle elezioni presidenziali del 2016.
Nell’elenco non solo imprenditori, ma anche e soprattutto politici. C’è il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, oltre che vari consiglieri e membri del Gabinetto del presidente russo. Tra questi Dmitri Medvedev, il ministro della Difesa Sergey Shoygu, il ministro dello Sviluppo economico Maksim Oreshkin, il ministro dell’Energia Aleksandr Novak e quello dello Sport Pavel Kolobkov.
Tuttavia, dalla Casa Bianca, la portavoce del Dipartimento di Stato Heather Nauert chiarisce che non si considerano necessarie, al momento, nuove sanzioni contro Mosca, in considerazione del fatto che le attuali stanno già funzionando come “deterrente”. L’amministrazione Usa, ha spiegato Nauert, “sta usando la legge come inteso dal Congresso, ovvero per premere sulla Russia affinché affronti le nostre preoccupazioni legate all’aggressione in Ucraina, alle interferenze negli affari domestici di altri Paesi e agli abusi sui diritti umani”.
Non si è fatta attendere la risposta dal Cremlino. Per il portavoce Dmitri Peskov, il cui nome figura nell’elenco, Washington “de facto” marchia come “nemici degli Stati Uniti” le persone in lista. Lo stesso Peskov ha però chiesto moderazione nelle reazioni al provvedimento americano, attendendo invece le eventuali risposte di Putin in persona. Tuttavia, fa osservare Peskov, “non è la prima volta che affrontiamo azioni piuttosto ostili contro di noi” e, quanto alla messa all’indice del proprio nome, ha dichiarato di esserne “indifferente”.