Il clima mondiale sotto la presidenza Trump potrebbe essere colpito da un vero e proprio uragano. Imprevedibile, ma forse anche catastrofico. Durant la campagna elettorale “The Donald” ha dichiarato che «il riscaldamento globale è una delle bufale inventate dai cinesi per attaccare la competitività dell’industria americana» aggiungendo che «la Terra in realtà si sta congelando». Parole dure che potrebbero spazzare via i progressi delle politiche green raggiunti dall’amministrazione Obama. Ma il pericolo più grande sarebbe l’inadempienza del neo Presidente sugli accordi di Parigi per la riduzione delle emissioni globali. Un accordo che il Tycoon ha promesso di cancellare durante il cammino alla Casa Bianca.
Non è un mistero che “The Donald” punti a rilanciare l’estrazione off-shore di petrolio e gas, attraverso il fracking. La tecnica che permette di estrarre petrolio attraverso la creazione e lo sfruttamento di una frattura nello strato roccioso del sottosuolo. Tra i punti del Tycoon compare anche la ripresa del progetto Keystone XL. Un oleodotto che permetterebbe di trasportare il petrolio dalle sabbie bituminose del Canada alle raffinerie del Texas. Troppo inquinante secondo Obama, che aveva bloccato il progetto con il potere di veto. È proprio l’ex presidente ad aver ostacolato lo sviluppo delle centrali a carbone, che Trump vorrebbe sostenere. Obama ha contribuito alla crisi del fossile grazie alle misure dell’Environment protection agency, l’Agenzia federale per l’ambiente. Trump sembra avere però, le idee chiare e ha già annuciato l’intenzione di nominare ai vertici dell’Epa Myron Ebell, definito da Vanity Fair “il portavoce dell’industria del petrolio”. Allarmante anche la possibile nomina di Sarah Palin a segretaria dell’interno, in quanto favorevole all’estrazione del petrolio. In passato ha dichiarato che: «i combustibili fossili sono cose che Dio ha messo in questa parte del mondo perché l’umanità le usi».
Donald Trump avrebbe quindi, una squadra di politici favorevoli all’estrazione di combustibili fossili. La preoccupazione è quella di un’ingerenza del nuovo estabilishment sulle politiche green. Di recente il nuovo documentario di Di Caprio ‘’Before The flood’’ (regia di Fisher Stevens) ha sottolineato quest’aspetto. Nel docu-film giornalisti, politici e scienziati denunciano diversi politici appartenenti al Gop. Paul Ryan, Ted Cruz, e James Inhofe sono alcuni dei membri del congresso che sosterrebbero il settore petrolifero. La Koch Industries, per esempio, compagnia petrolifera di livello mondiale, finanzierebbe i senatori per portare avanti i propri interessi. Tra questi Inhofe, senatore dell’Oklahoma, ha definito il riscaldamento climatico un’invenzione degli scienziati «la seconda bufala più grande mai proposta al popolo americano dopo la separazione fra Stato e Chiesa». Interessante è anche il caso della Florida, uno degli swing state che ha permesso la vittoria di Trump. Nel mirino delle proteste è finito Marco Rubio, rieletto senatore dello Stato del sole, e il governatore Rick Scott. Sarebbe proprio quest’ultimo ad avviare nel 2011 una politica ambientale fortemente negazionista. Lo stesso Rubio ha dichiarato che «l’uomo non è in grado di cambiare il clima. È impossibile».
Tuttavia il pericolo di un effetto Trump, catastrofico in questo caso, sarebbe scongiurato grazie agli impegni della vecchia amministrazione Obama. La ratifica degli Usa e l’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi sono avvenuti lo scorso 4 Novembre. Tempi record che impediscono un ripensamento degli Stati Uniti. «Le clausole dell’Accordo sul clima – spiega il direttore scientifico del Kyoto Club Gianni Silvestrini su Qualenergia.it – prevedono infatti che un paese, che intenda abbandonare il campo lo possa fare solo dopo quattro anni. In ogni caso, considerando l’attuale stato delle ratifiche, che vede l’adesione già di 102 paesi, anche l’uscita degli Stati Uniti non invaliderebbe comunque l’Agreement. La clausola del livello del 55% delle emissioni mondiali sarebbe infatti già garantita dagli altri paesi». Sulla questione si discute anche alla conferenza di Marrakech, l’appuntamento chiave per tradurre in concreto gli atti dell’Accordo di Parigi. «Indipendentemente dalle convinzioni politiche, il cambiamento climatico è una realtà che non verrà cancellata dalle elezioni negli Stati Uniti» – ha detto la negoziatrice francese Laurence Tubiana – «il 60% degli americani la considera un pericolo»
Trump non sarebbe quindi in grado di minare gli sforzi mondiali sul riscaldamento globale. Ma il presidente potrebbe sfruttare i punti deboli dell’accordo per avviare la sua politica. Fino ad ora non è indicata nessuna data per lo stop all’uso delle fonti fossili. L’accordo inoltre prevede una revisione degli obiettivi di taglio delle emissioni fra due anni. Troppo tardi secondo gli scienziati, perché l’umanità nel 2018 potrebbe aver già bruciato un’enorme quantità di combustibili fossili e rendere impossibili gli obiettivi. Centrale è anche il nodo delle verifiche sull’impegno a rispettare l’Accordo. Il controllo è troppo blando, perché si basa su misurazioni fornite dallo Stato diretto interessato, sia pure con la collaborazione degli organismi internazionali più qualificati. Infine ultimo, ma non meno importante è la mancanza di sanzioni formali in caso di inosservanza. Il pericolo è l’ipotesi di un Trump negligente a ridurre le emissioni dei gas serra.
«Desidero congratularmi con Donald Trump per la sua elezione alla presidenza degli Stati Uniti d’America – ha dichiarato la presidentessa Cop 22 Salaheddine Mezouar – Ora che è entrato in vigore l’Accordo di Parigi, tutti i paesi e gli attori non statali condividono la responsabilità di continuare nel solco dei grandi progressi raggiunti fino a oggi». Ma il Tycoon non sembra dare messaggi di speranza. Una fonte del team di transizione ha rivelato che Trump sta cercando di bypassare l’Accordo sul clima di Parigi.