HomeCronaca Un marziano a Roma. Tra gaffe e scivoloni storia di un sindaco poco amato

Un marziano a Roma. Tra gaffe e scivoloni storia di un sindaco poco amato

di Samantha De Martin09 Ottobre 2015
09 Ottobre 2015

marino matrimonio

La statua equestre di Marco Aurelio svetta a guardia del Campidoglio rimasto vuoto, con il braccio alzato a racchiudere il fascino decadente di potere e grandezza che furono di un tempo. Peccato che questa statua dell’imperatore filosofo, autore dei Colloqui con se stesso, sia soltanto la riproduzione, l’ologramma di una figura che grandeggia altrove, un po’ come quel sindaco “marziano” che attraverso il suo braccio alzato in segno di saluto, aveva provato a tessere, dalla sua bicicletta, un filo di amicizia e di consenso con la sua città, a partire dalla sua elezione.

Ma a differenza di quell’imperatore al quale era accomunato dalla barba e dalla passione per la scrittura e la filosofia, a Marino (nella foto il sindaco rientrato in Campidoglio per celebrare un matrimonio) quel consenso era venuto meno, persino da parte dei suoi, scalzato da gaffe e scivoloni resi ancora più dolorosi da una comunicazione povera, troppe volte assente, sfuggente. Come quando, mentre nella Chiesa di Don Bosco le note del Padrino accompagnavano la cerimonia funebre di Vittorio Casamonica, illustre esponente dell’omonimo clan, con tanto di carrozza e cavalli, il sindaco era in vacanza ai Caraibi.

La parabola di Ignazio, il chirurgo che, con il bisturi della giustizia, ha provato, come ripeteva sempre lui, a «scoperchiare il sistema corruttivo», a tagliare i tentacoli, ad avviare riforme, risanansdo il bilancio, forte di quell’iniziale slogan elettorale “Non è politica, è Roma”, si è lentamente compiuta. La sua figura si è eclissata proprio nel giorno in cui ricorre la morte di Che Guevara, il rivoluzionario al quale il sindaco amava paragonarsi. Come quando, all’Ama, aveva ipotizzato il trasferimento del servizio di raccolta dei rifiuti dal pubblico al privato, inneggiando alla “rivoluzione”. Una scelta che poco sarebbe piaciuta al suo beniamino argentino.

A scandire l’autogol di questo primo cittadino, un po’ ingenuo, un po’ sbadato, era stata l’ultima sua apparizione, in un video sgangherato girato con il telefonino, poco “social” e affatto adeguato a una politica che dovrebbe, piuttosto, fare della comunicazione il proprio cavallo di battaglia. L’ “evergete” Marino aveva deciso di restituire 20mila euro a romani e romane, dopo la vicenda degli scontrini che lo ha visto indagato per peculato, accusato di un uso spregiudicato della carta di credito del Campidoglio, cene e pranzi offerti e ospiti – tra questi l’ambasciata del Vietnam e la Comunità di Sant’Egidio – che negano di essere stati ospiti. Pochi giorni prima Marino era partito per Filadelfia al seguito di papa Francesco il quale aveva, tuttavia, prontamente smentito di averlo mai invitato.

Ma il vero inizio della caduta del medico genovese era stato l’emergere dell’inchiesta su Mafia Capitale che lui stesso aveva navigato, al pari di un nocchiere distratto, mentre perdeva la nave, smarrito in quella tempesta perfetta durante la quale continuava a ripetere in modo del tutto poco convincente, «io non mi sono accorto di nulla». E intanto era circondato da persone che avevano tessuto intrecci con Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, e intanto i suoi assessori finivano agli arresti, come i suoi consiglieri, come l’ex assessore alla Casa, Daniele Ozzimo e il vicepresidente dell’Assemblea Capitolina, Mirko Coratti. E così malumori cresciuti nei mesi in cui la sua Panda Rossa veniva parcheggiata davanti Palazzo Madama negli spazi riservati ai senatori – senza che il sindaco avesse più l’autorizzazione – e la vicenda delle multe non pagate, si sono trasformati nell’ostile preambolo di una definitiva condanna. Una fine che ha avuto come sigillo la scelta del consiglio dei ministri di affidare al prefetto Franco Gabrielli il ruolo di “tutore” di Marino, alla vigilia del Giubileo.

Nonostante la partita giocata nei suoi 28 mesi di governo della città il game over del sindaco, desta clamore e, in troppi, soddisfazione. E poco conta “il buono” che è stato realizzato, dalla chiusura della discarica di Malagrotta alle norme ferree introdotte per i cartelloni pubblicitari, dall’offensiva scatenata ai tavolini abusivi in piazza Navona all’abbattimento dei muri abusivi sul litorale di Ostia, dallo spostamento dei camion bar della famiglia Tredicine alla pedonalizzazione dei Fori. Certo, nel macroscopico scenario delle strade colabrodo, degli autobus guasti e dei rifiuti che invadono le strade del centro e delle periferie, le opere realizzate passano inosservate, silenziose. Adesso si dovrà guardare al Giubileo che incombe su una città attualmente senza governo e alle prossime scadenze: la nomina della nuova governance dell’Atac, con l’assemblea dei soci, in programma per il prossimo 15 ottobre, che dovrebbe chiudere l’era dell’attuale management, ma soprattutto i ritardi nei lavori per l’Anno Santo (al momento sono partite appena cinque gare su tredici) e le strette sul decoro.

Il dado è tratto e Roma, solitaria e un po’ sfiorita, a circa 60 giorni dal Giubileo, si prepara a giocare una delle sue partire più difficili.

Samantha De Martin

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