HomeEsteri Un altro giornalista ucciso in Somalia, il diciannovesimo negli ultimi mesi, ma l’obbiettivo è la chiusura di due radio “scomode”

Un altro giornalista ucciso in Somalia, il diciannovesimo negli ultimi mesi, ma l’obbiettivo è la chiusura di due radio “scomode”

di alessio.perigli30 Ottobre 2013
30 Ottobre 2013

Somalia cazzoAncora un giornalista ucciso in Somalia. Il diciannovesimo negli ultimi mesi. Il suo nome è Mohamed Mohamud, ferito gravemente tre giorni fa in un agguato. La sua agonia è terminata ieri. Chi si cela dietro questo assassinio? Probabilmente il Governo, che perseguita i giornalisti silenziandoli nel modo più brutale.
L’obbiettivo del governo. Lo scopo di questa violenza perpetrato ai danni di questi professionisti è chiaro: chiudere due radio. Queste sono Radio Sahbelle e Sky FM Radio. Perché? Danno fastidio. La Somalia vive il dramma di una guerra civile tra governanti e ribelli. Quest’ultimi, legati a movimenti terroristici di matrice islamica, vogliono sovvertire l’attuale assetto di potere. In una guerra civile, le regole sono dettate dalla violenza. Difficile distinguere tra buoni e cattivi. I giornalisti, individuano questo stato di cose e non va giù a chi comanda, soprattutto a chi della democrazia e del dialogo se ne sbatte.
Il raid di ieri, decimata la redazione di radio Shabelle. Ieri mattina, la polizia politica del regime ha fatto irruzione nella sede della radio. Devastati gli uffici, sequestrati gli archivi e arrestati metà dei giornalisti. Il motivo? “Occupavano sedi ministeriali”. Di fatto l’immobile era stato occupato nel 2010 ed era di proprietà governativa. Nel pieno di una guerra civile, non esiste un mercato immobiliare fiorente che si sviluppa nella più trasparente legalità. Spesso questo non avviene anche nelle democrazie più evolute. Ma in questo caso, nonostante l’occupazione dell’edificio, uno stralcio di accordo con lo Stato  era stato trovato nel 2012: i giornalisti avrebbero ristrutturato l’immobile con una somma di 1.200 euro mensili fino al 2015. In parole povere, la loro presenza nell’edificio è perfettamente legale, almeno fino al 2015. Ma legalità e guerra non vanno d’accordo. Il blitz di ieri ne è una conferma schiacciante.
L’Italia ci prova, ma senza risultati. La pacificazione nazionale è complessa, se non impossibile. L’Italia, che vanta dei rapporti privilegiati con lo Stato africano (ex colonia) cerca di svolgere un ruolo di mediazione. Il presidente del Consiglio Enrico Letta ha incontrato il capo del Governo somalo Hassan Skeith Mohamud, lo scorso 18 settembre. Belle parole, tante promesse e calorose strette di mano. Frutti amari del politicamente corretto.

                                                                         

Alessio Perigli

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