Rojin è curda, è in Italia da sei anni e oggi fa la mediatrice culturale. Anche lei ha attraversato l’iter dell’Ufficio Immigrazione per ottenere il permesso di soggiorno. Un percorso lungo e caotico, come ci racconta.
Com’è stata la sua esperienza dentro l’Ufficio Immigrazione?
“Per quello che ho vissuto io, c’è una tensione che fa paura. Dipende dalle persone che incontri, a volte ti guardano e senti di voler sparire. Io preferisco non avere a che fare con la questura. Quando dovevo andare all’Ufficio per la mia situazione, avevo la sensazione di essere l’altro, lo straniero. Qualcuno di non voluto”.
Ha riscontrato altre criticità?
“Un altro problema sono sicuramente i tempi di attesa. L’ultima volta che io ho fatto il rinnovo ci sono voluti nove mesi. Nove mesi in cui non sei in regola, e non puoi viaggiare, non puoi muoverti da qui. A tanti altri capita che magari c’è un errore nella compilazione di un documento. Il kit da presentare ha molti fogli, ed è facile sbagliare. In questo caso la pratica viene sospesa anche per anni”.
Ci sono modi per sbloccare queste situazioni?
“A volte. Per esempio se vai accompagnato da un italiano cambia tutto. È più facile quando ci sono associazioni che mediano, ancora più facile quando si ha un parente con la cittadinanza italiana, magari un figlio o un coniuge. Una mia amica giapponese ha vissuto questa differenza in prima persona, perché quando è venuta qui per studiare l’iter è stato più lungo. Adesso che è sposata con un italiano le fanno saltare la fila, non deve aspettare nulla, e in un attimo ha il permesso di soggiorno rinnovato”.
Quale cambiamento pensa sia ancora necessario?
“Servirebbe un cambiamento a livello umano. Quando vai lì non ti aspetti gentilezza. Non vai lì per essere accolto, vai lì per ottenere dei documenti. Però non ti aspetti neanche ostilità, mentre io ho trovato questo. Ci dovrebbe essere solo questo: un po’ di rispetto umano”.