«Ce lo chiede l’Europa», dicono i governanti quando devono imporre misure impopolari. Per i governati, d’altra parte, l’Europa «è lontana dai cittadini», «ci tartassa di tasse», «non crea abbastanza lavoro». Al Festival del Giornalismo di Perugia falsi miti e bufale sul tema sono stati al centro dell’incontro Europa, orgoglio e pregiudizio. Per fare un po’ di chiarezza su bilanci, fiscal compact, fondi di coesione sono stati invitati Ewelina Jelenkowska-Lucà, capo del settore Stampa e Media della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, Giovanna Pancheri, corrispondente da Bruxelles per Sky TG24 e Daniele De Bernardin, analista di FactCheckEU (la piattaforma che, dati alla mano, verifica la correttezza delle dichiarazioni dei politici), moderati da Federico Taddia, che su Radio 24 conduce L’Altra Europa
Europa, quanto ci costi? Prendiamo il tema dei costi dell’Europa, fra i cavalli di battaglia della polemica anti-europeista: per il funzionamento della macchina amministrativa e burocratica europea, ogni cittadino spende circa 70 centesimi al giorno, contro i 30 euro richiesti da quella italiana. E poi, se è vero che l’Italia è “in rosso” — ossia dà all’UE più di quanto riceva — è altrettanto vero che abbiamo speso soltanto il 52% dei fondi strutturali previsti per noi nell’ultimo settennato. Se il nostro Paese avesse saputo sfruttarli meglio, il saldo sarebbe stato ampiamente positivo. L’Europa, tuttavia, non ci “punirà”, nel senso che nei prossimi sette anni destinerà all’Italia una cifra addirittura superiore ai 27 miliardi inseriti nel bilancio scorso.
Il caso delle banane. Fra i luoghi comuni più diffusi c’è poi quello che i burocrati di Bruxelles passino il tempo a regolamentare minuziosamente le materie più inutili. Invece — oltre a essere prodotte generalmente dietro sollecitazione dei governi nazionali — l’esistenza di norme valide per tutti è essenziale per tutelare cittadini e imprese. Così, spiega Jelewonska-Lucà, si giustifica perfino il caso apparentemente assurdo della curvatura permessa per le banane dai regolamenti comunitari: «Le leggi servono a fare del mercato unico una piazza di fair play».
La leadership tedesca. Che la Germania sia il Paese con maggior peso all’interno dell’UE è fuor di dubbio. La sua forza politica, però, non dipende solo dal potere economico, ma anche dalla preparazione della sua leader. Giovanna Pancheri racconta che durante i Consigli è la Merkel l’unica a rimanere al tavolo fino all’ultimo secondo, controllando e correggendo in prima persona le bozze degli accordi che i suoi colleghi lasciano agli sherpa. «Angela conosce alla perfezione i meccanismi e li sa sfruttare a suo vantaggio. Non a caso, fra i pochi in grado di tenerle testa c’è stato Mario Monti: anche senza avere lo stesso potere, la sua esperienza di commissario europeo l’ha reso altrettanto preparato. Se la Merkel non si alzava dal tavolo, non si alzava neanche lui». Del resto, in Consiglio la Germania dispone di 29 voti, esattamente come Francia, Regno Unito e Italia.
Quali competenze. «Se in periodo di elezioni si chiede alla gente che cosa si aspetta dall’Europa, molto spesso ci si sente rispondere “L’Europa deve creare lavoro”», commenta De Bernardin. «Ma l’Europa non ha nessuna competenza per legiferare sul mercato del lavoro italiano, al massimo può disciplinare aspetti come la sicurezza sul luogo di lavoro o sulla parità fra i sessi». Analogo discorso vale per il tema immigrazione: il pattugliamento delle coste e dei confini, ad esempio, spetta ai governi degli Stati membri e non, come sostengono alcuni politici non solo italiani, a quello di Bruxelles. Crisi, tasse, immigrazione: «Leggende e bufale — osserva il fondatore di FactCheck — nascono soprattutto sui temi che suscitano l’emozione dell’elettore».
Anna Bigano