Tornato in Ucraina per raccontare le elezioni nella regione di Donetsk, il fotoreporter italiano Andrea “Andy” Rocchelli (30 anni) è stato ucciso il 24 maggio scorso a Sloviansk. L’auto su cui viaggiava insieme al suo interprete è stata crivellata da colpi di arma da fuoco durante uno spostamento nel sud della città.
L’imboscata alle elezioni presidenziali. Sloviansk è una zona ad alto rischio, teatro dei violenti scontri tra ribelli e filogovernativi, ma Andy aveva deciso di rimanere ugualmente lì. Era tornato da poco in Ucraina e voleva documentare l’evolversi della guerra civile alla vigilia delle elezioni presidenziali. Al momento dell’imboscata, infatti, era in viaggio nel sud della città insieme ad Andrey Mironov (l’interprete russo, 54enne, morto insieme a lui) ed un altro giornalista francese sopravvissuto all’attacco. “Abbiamo sentito colpi di kalashnikov che fischiavano, poi sono piovuti i colpi di mortaio tutt’intorno. Hanno aggiustato il tiro e un colpo è piombato in mezzo al fossato” in cui i fotografi, tra cui Rocchelli, si erano nascosti per trovare riparo dagli spari. A raccontarlo è William Roguelon, il reporter francese superstite, all’agenzia Wostok Press. Durante la sparatoria era rimasto ferito alle gambe e, appena cessato il conflitto, era stato trasportato d’urgenza in ospedale. L’ultima volta che ha visto Rocchelli e Mironov erano distesi a terra, inermi. I media russi ne hanno dichiarato subito la morte ma le smentite e le speranze di una falsa notizia hanno cinguettato sul web fino a ieri quando, in mattinata, è arrivata la conferma del decesso da parte della Farnesina.
Lo scaricabarile delle colpe. Chi ha sparato sui giornalisti? La domanda resta sospesa. E lo scaricabarile delle colpe tra Kiev e filorussi ha di nuovo inizio. A sparare, secondo gli insorti, sarebbero stati i militari di Kiev che, negli ultimi giorni, hanno preso il controllo della zona. Ma il vicepremier ucraino difende le proprie truppe, puntando il dito contro i ribelli. Difficile stabilire di chi sia la colpa, anche se l’ultima parola potrebbe essere quella di William Roguelon, il reporter sopravvissuto all’assalto, che ha confermato la versione dei ribelli filorussi. Nel frattempo, la salma del fotoreporter è ancora nell’obitorio dell’ospedale di Sloviansk in attesa di tornare in Italia. Per il riconoscimento i genitori di Rocchelli sono atterrati ieri a Kiev da Pianello Val Tidone (piccolo centro in provincia di Piacenza), ma lo spostamento del corpo da Sloviansk alla Capitale del Paese sarà complesso.
Senza paura. “Aveva seguito gli scontri in piazza a Kiev ed era tornato in Italia ma poi, una decina di giorni fa era ripartito. Ora partiremo anche noi per l’Ucraina per riportare a casa la salma”. Luca Santese e Gabriele Micalizzi, fondatori insieme ad Andy del collettivo fotografico “CesuraLab”, hanno ricordato così il loro collega e amico. Rocchelli ha lavorato spesso in zone di crisi, probabilmente, perché era affascinato da certi luoghi. “Ci sono persone che si sentono a proprio agio nelle situazioni di caos” aveva risposto durante una conferenza dell’ultima edizione del Festival Internazionale del Giornalismo quando, dal pubblico, gli era stato chiesto se non avesse paura di lavorare al confine. Andrea Rocchelli era il testimone di una guerra non sua, ma in questo mestiere bisogna calarsi negli eventi fino al collo e correre, spesso, anche il rischio di non uscirne.
Flavia Testorio