Un commando armato ha ucciso ieri pomeriggio María Bernarda Juajibio, indigena colombiana e sindaco della riserva Cabildo Camentzá Biyá nel sud del Paese. Si tratta della leader di una delle quindici popolazioni di indigeni del dipartimento di Putumayo.
Secondo quanto riporta il quotidiano di Bogotà, El Espectador, l’agguato è avvenuta mentre la donna era diretta in motocicletta verso El Placer, nel comune di Valle del Guamuez, per un’ispezione. Durante l’attacco, a colpi d’arma da fuoco, ha perso la vita anche la nipote della leader dei nativi di Pueblo Kamentsá, una bambina di un anno e mezzo che viaggiava con lei insieme ad altre donne.
Immediata la reazione dell’Organizzazione nazionale indigena della Colombia (Onic), che ha condannato l’assassinio di Juajibioy, accusando via Twitter il presidente Iván Duque Márquez con parole nette: “Nei territori indigeni la presenza dei gruppi armati mette a rischio la sopravvivenza delle comunità. Ci stanno sterminando davanti al silenzio complice del governo”. Gli attivisti hanno poi aggiunto che le donne indigene “sono le guardiane della sopravvivenza dei popoli”. Il governo di Putumayo, però, ha confermato di adottare misure che garantiscono la protezione dei cittadini.
Solo nel 2020 in Colombia sono stati uccisi in 261 tra leader indigeni e difensori dei diritti umani, secondo i dati dell’Istituto di ricerca per lo sviluppo e la pace (Indepaz). Con María Bernarda Juajibioy sale a 21 il numero delle vittime nel 2021. Lo scorso dicembre Michelle Bachelet, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr), aveva acceso i riflettori su questa strage silenziosa in atto in America Latina, condannando l’aumento “della violenza perpetrata da gruppi armati non statali, gruppi criminali e altri elementi armati in Colombia, contro contadini, indigeni e afro-colombiani”.