HomeEsteri Tunisi/1 Prima dell’attentato avvisaglie sottovalutate. Il presidente Essebsi: “Siamo in guerra”

Tunisi/1 Prima dell’attentato avvisaglie sottovalutate. Il presidente Essebsi: “Siamo in guerra”

di Anna Bigano20 Marzo 2015
20 Marzo 2015

Eight reported killed as militants attack museum near Tunisian Parliament building

“Quello che avete visto a Tunisi è solo la prima goccia di pioggia”: dopo l’attentato al Museo del Bardo, due giorni fa, sul web arrivano dai jihadisti minacce di nuovi attacchi. Ma già nei giorni scorsi erano stati diffusi in rete alcuni documenti che avrebbero potuto far presagire l’attentato di mercoledì.

Le avvisaglie. Il 15 marzo l’Isis aveva caricato un video in cui un miliziano lanciava da Raqqa, in Iraq, un appello ai jihadisti tunisini, invitandoli ad “unirsi ai loro fratelli”. La risposta non si era fatta attendere. Lo stesso giorno, in un messaggio del gruppo “Jund al-Khilafah in Tunisia”, fedele al califfo Al-Baghdadi, arrivava la rassicurazione: “Restate in attesa di magnifiche notizie riguardo cose che recheranno gioia a voi e ai musulmani in generale. Presto”. Il 17 marzo, invece era stato postato su YouTube e sui social media un altro messaggio audio, in cui Wannes Fakih, leader del gruppo jihadista tunisino Ansar al-Sharia, avvertiva i tunisini dell’attacco imminente.

Le reazioni. “Siamo in guerra”, ha detto il presidente tunisino Beji Caid Essebsi davanti al Consiglio superiore delle forze armate e al Consiglio superiore delle forze dell’Interno, decretando inoltre la mobilitazione generale dell’esercito e della polizia per fronteggiare l’emergenza terrorismo. La società civile ha manifestato pacificamente in piazza, per mostrare la faccia democratica e accogliente della Tunisia, culla delle Primavere arabe, fra i pochi Paesi a prevalenza musulmana a dotarsi di una Costituzione laica, in cui uomini e donne hanno pari diritti.

Occhi puntati sulla Libia. “Sono forze interne quelle che hanno eseguito, esterne quelle che hanno pianificato”. Come tanti connazionali, anche Rachid Ghannouchi, leader del partito islamico Ennahda, cerca di prendere le distanze dagli autori della strage, si rifiuta di credere che il terrorismo fondamentalista abbia potuto davvero attecchire in casa propria. L’ha confermato, in un certo senso, anche il segretario di stato tunisino alla sicurezza Rafik Chelly, che in un’intervista televisiva ha spiegato che i due attentatori rimasti uccisi nell’attacco, Jabeur Khachnaoui e Yassine Laabidi, sono tunisini ma si sono addestrati in Libia. “Non abbiamo dettagli – ha aggiunto Chelly – ma ci sono campi di addestramento per i tunisini a Sabrata, Bengasi e Derna”. Nove persone sono state arrestate dalla polizia, di cui quattro “per legami diretti con l’attacco”.

Anna Bigano

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