Il numero è pari a quello del contingente militare inviato in Iraq nel 2003, cinquemila duecento soldati. Stavolta non è in atto una guerra, ma – forse – formalmente, lo sta diventando. Di sicuro le decisioni di Trump sull’ondata migratoria ai confini con il Messico devono essere viste con le lenti delle elezioni di Midterm del prossimo 6 novembre. Nulla è lasciato al caso. Il Presidente vuole mantenere posizioni nette, coerenti con quanto ha sempre dichiarato. Perciò non stupisce l’atteggiamento duro nei confronti della “minaccia” proveniente dal Centroamerica: l’esercito è già stato mobilitato in massa per gestire una situazione, lungo la linea tra USA e Messico, che potrebbe trasformarsi in una polveriera ed esplodere proprio nelle mani di Trump.
“Costruiremo intere città di tendopoli, installeremo tende ovunque, costruiremo strutture, spenderemo centinaia di milioni di dollari. Qui i migranti aspetteranno l’esito delle loro richieste di asilo e se non ne avranno diritto se ne andranno”, ha affermato nell’intervista a Fox News, precisando che “la maggioranza delle richieste d’asilo, circa l’80% dall’America centrale, è respinta” e che tra i migranti ci sono “molti membri di bande e delinquenti. Non li lasceremo entrare”. Parole non nuove, che abbiamo sentito durante tutta la sua campagna elettorale e continuiamo a sentire – riferite all’emergenza proveniente dal Mediterraneo – anche in Europa, Italia in testa, nelle dichiarazioni dei partiti di estrema destra.
La carovana di disperati diretta verso il Messico è diventata un esodo senza precedenti. Nata in Honduras, un paese dove la violenza ha fatto 4mila morti solo nel 2017, ha raccolto guatemaltechi, nicaraguensi e salvadoregni. Tutti con lo stesso obiettivo: prima entrare in Messico attraversando il fiume Suchiate, e poi raggiungere, a nord, il confine con gli Stati Uniti. Le richieste d’asilo pioveranno per mesi in modo torrenziale e, nell’attesa di una risposta, Trump farà allestire tendopoli e rafforzare ancora i controlli. Il rischio di trasformare il confine in un ghetto è dietro l’angolo.