“Siamo l’unico paese al mondo dove una persona può entrare e avere un bambino, e quel bambino è essenzialmente un cittadino degli Stati Uniti. È ridicolo, deve finire”, così il Presidente americano Donald Trump, in un’intervista rilasciata ieri a “Axios on Hbo”, ha alimentato la sua propaganda durante l’accesa campagna elettorale per le elezioni del 6 novembre del midterm. Con il timore che i candidati dei Dem conquistino alcuni importanti seggi alla Camera e al Senato, The Donald tira dritto sulla linea dura dell’immigrazione.
E lo fa ponendo sul patibolo un diritto costituzionale, entrato nella Carta a metà del XIX secolo, che ha posto le basi per la più grande democrazia al mondo. Il 14° emendamento della Costituzione americana riconosce il birthright, o ius soli, secondo cui “tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti, e soggette alla sua giurisdizione, sono cittadini degli Stati Uniti”.
Ma Trump ha affermato che con un ordine esecutivo potrebbe modificare la Costituzione e abolire così il diritto di cittadinanza per nascita. Un’idea paventata anche da alcune precedenti amministrazioni, ma ora acquisisce un tono più incisivo a seguito della carovana di migranti che, partiti dall’Honduras, cercano di arrivare negli U.S.A. Ieri da Washington sono partiti 5200 soldati per fermare quella che Trump ha definito, a favore di camera e di sostenitori, un’invasione di migranti, terroristi mediorientali e criminali del centroamerica.
Mentre il presidente pensa di cancellare il 14° emendamento affidandosi all’escamotage di un ordine esecutivo, si è dimenticato, come confermano i giuristi, che per le modifiche costituzionali sono necessari i voti di due terzi di entrambe le Camere del Congresso o una convenzione costituzionale richiesta dai due terzi degli Stati.
Contro le dichiarazioni di Trump si è già espresso lo speaker repubblicano della Camera Paul Ryan, secondo il quale non si può mettere fine al diritto di cittadinanza legato alla nascita con un ordine esecutivo.