Università vecchie, lente, poco interessanti che allontanano studenti dubbiosi, soli e anche un po’ svogliati. Dati allarmanti, che hanno interessato ieri a Roma i partecipanti alla conferenza dell’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca), alla quale era presente anche il neo ministro dell’Istruzione Stefania Giannini. Corsi universitari con alto contenuto teorico e poco professionalizzanti, immatricolati che non superano l’8% annuo (rispetto al buon 17% dell’Europa), poca differenziazione dell’offerta formativa.
Questi alcuni dei risultati del primo rapporto biennale sullo stato del sistema dell’università e della ricerca, ma non gli unici: quasi il 40% tra quanti s’iscrivono a un corso di laurea triennale non conclude gli studi o cambia percorso dopo soltanto un anno, mentre permangono le difficoltà che gli studenti vivono nel passaggio dalla scuola superiore al sistema universitario. Poche le opportunità di lavoro in uscita e per chi intraprende un corso di laurea, nel 42% dei casi la triennale rappresenta la fine degli studi.
Con la formula 3+2 (triennale e specialistica/magistrale) è aumentata la percentuale di laureati italiani degli ultimi anni (+ 31%) ma la crisi non permette, a chi è in possesso di un titolo, di mettere in pratica ciò che ha imparato. Dal rapporto dell’Anvur risulta anche la diminuzione delle risorse che il MIUR riserva a ricerca e università, facendo così diminuire la qualità dei progetti dei ricercatori italiani. Si riducono i fondi per il diritto allo studio (si passa dall’86% di qualche anno fa all’attuale 67%) e molti giovani rinunciano a intraprendere un percorso formativo superiore perché impossibilitati a pagare le tasse universitarie. A questo proposito Stefania Giannini ha parlato di NEET (not in education, employment or training), i giovani che non sono “niente”: non studenti, non impiegati e non in procinto di esserlo. A loro il ministro ha rivolto le sue parole, ammettendo le colpe del sistema universitario italiano poco attrattivo, scarsamente “formativo” e privo di spunti per il futuro. La Giannini ha sottolineato come sia necessario seguire i ragazzi in uscita dalle scuole medie superiori per aiutarli a scegliere bene il corso universitario da intraprendere e di non abbandonarli nemmeno al termine di quest’ultimo. “La crisi ha le sue colpe – ha continuato il ministro – ma è nostro dovere renderla meno dura possibile”.In sala stampa, il ministro ha risposto ad alcune domande.
Lumsanews ha chiesto al ministro una sua riflessione a proposito dei giovani che volontariamente scelgono di non intraprendere nessun percorso formativo o lavorativo:
Innanzitutto – ha dichiarato Stefania Giannini – vorrei sottolineare che le percentuali dei NEET sono in aumento (ad oggi oltre il 12%). Sono il sintomo e non la causa della patologia che affligge il sistema universitario del nostro paese, se gli adulti sono demotivati come potrebbero non esserlo i giovani?Qui la responsabilità è delle università italiane che non riescono a mantenere i contatti con il mondo del lavoro, portando al minimo le prospettive di impiego dei ragazzi. Questo riduce la motivazione, gli stimoli dei giovani e su questo bisogna lavorare: ricreare la voglia, lo spirito dello studio.
ELISA MARIELLA