Chissà cosa avrebbe detto, come avrebbe sdrammatizzato Aldo Fabrizi, all’anagrafe con due b, questo periodo che stiamo vivendo. Lui che pure nel suo epitaffio ha deriso tutti, anche la morte. “Tolto da questo mondo troppo al dente”, si legge nella sua lapide al cimitero monumentale del Verano, a Roma. La stessa Roma di cui Fabrizi era figlio e che portava con sé ovunque andasse e qualsiasi personaggio interpretasse.
Attore, regista, sceneggiatore, produttore, comico e poeta, Fabrizi ci ha lasciati 30 anni fa, il 2 aprile del 1990, per un’insufficienza cardiaca. Aveva 84 anni.
È stato, insieme a due mostri sacri come Alberto Sordi e Anna Magnani, il vero volto della romanità nel cinema. Era nato in una famiglia povera, a 11 anni Fabrizi rimase orfano e fu costretto a smettere di studiare per poter aiutare la madre e le sue cinque sorelle, tra cui Elena, la famosa Sora Lella.
Iniziò la sua carriera come poeta: “Lucciche ar sole” si chiamava la sua prima raccolta di poesie, recensita anche sulle colonne del Messaggero. Poi si dedicò al teatro.
Dal 1942, con “Avanti c’è posto” di Mario Bonnard iniziò la sua lunga carriera nel cinema come attore. Sei anni più tardi passò anche dall’altra parte della cinepresa, firmando la regia di “Emigrantes”.
Recitò per Mario Monicelli, Roberto Rossellini, Mario Mattoli. La critica lo premiò alla Biennale di Venezia nel 1947, per “Il delitto di Giovanni Episcopo” per gli speciali meriti artistici. Nel ’51, vinse il Nastro d’argento come miglior attore protagonista in “Prima comunione”, successo che replicò nel ’75 come attore non protagonista con “C’eravamo tanto amati”.
Ma il riconoscimento più importante, forse, è il David di Donatello alla carriera, vinto nel 1988, due anni prima che morisse, lasciandoci con le sue risate, la sua ironia e anche i suoi capolavori.