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“La stampa alla corte di re Giorgio”. Travaglio striglia i colleghi giornalisti

di Anna Bigano03 Maggio 2014
03 Maggio 2014

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«La stampa italiana si rivolge al capo dello Stato come a un sovrano assoluto. Zitti zitti, senza accorgercene, ci siamo trasformati in una monarchia». Marco Travaglio, ospite al Festival del Giornalismo di Perugia, inaugura così l’incontro di venerdì sera in un teatro Morlacchi da tutto esaurito. Il vicedirettore del Fatto Quotidiano prende spunto dal suo ultimo libro “Viva il re!”, dedicato a Giorgio Napolitano, per un’analisi spietata della figura del presidente della Repubblica: con il sarcasmo di sempre, Travaglio passa in rassegna le vicende che hanno coinvolto negli ultimi anni il capo di Stato (“il più longevo del mondo”), per sostenere la tesi della “svolta autoritaria in atto nel Paese”.

Una rielezione discussa. Fra i momenti più contestati della carriera al Colle di Napolitano, c’è quello della rielezione. La crisi dovuta all’incapacità dei partiti di trovare un accordo, sostiene il giornalista, è un falso mito creato a posteriori per nascondere la verità, cioè che nessuna vera emergenza costrinse il presidente della Repubblica ad accettare un secondo mandato; nessuna, eccetto la candidatura di Stefano Rodotà («Un cultore della Costituzione, un uomo libero dai condizionamenti dei poteri forti che certamente avrebbe favorito la nascita di un esecutivo Pd-5 Stelle, come chiedevano gli elettori»). E invece Napolitano fu richiamato dopo solo quattro scrutini, sebbene la storia ricordi Capi di Stato eletti dopo più di venti votazioni: un modo palese per favorire la nascita dell’ennesimo governo di larghe intese.

La critica alla stampa. Il j’accuse si estende anche a quella stampa prona nei confronti dei potenti e pronta a parlare del loden di Monti o della Smart di Renzi anziché verificarne l’operato. Negli ultimi vent’anni, secondo Travaglio, il mondo dell’informazione ha perso l’abitudine al fact checking e non fa più da sponda critica alla politica. La responsabilità, però, è anche di certi lettori che a verità scomode preferiscono notizie “rassicuranti” e anzi accusano di disfattismo i giornali che danno voce alle critiche. Il vicedirettore del Fatto, insomma, dipinge un quadro a tinte fosche, ma non è del tutto pessimista: «Ogni vent’anni, più o meno, in Italia ci rendiamo conto della libertà che abbiamo, e torniamo a prendercela».

Anna Bigano

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