“Dopo aver finito mi sono fermato per qualche minuto in raccoglimento nel luogo in cui hanno ritrovato Pamela. L’avevo appena vendicata sparando trenta colpi. Ci tenevo a dirglielo”. Lo racconta con lucida freddezza Luca Traini, l’uomo che sabato mattina ha sparato alla cieca su alcuni cittadini di nazionalità africana a Macerata. Voleva vendicare l’omicidio di Pamela Mastropietro, per il quale principale indagato è il pusher nigeriano Innocent Oseghale.
Di Traini, 28enne di Tolentino, non si può proprio dire che fosse il ragazzo della porta accanto: la mezza svastica tatuata sulla fronte, la barba tagliata squadrata a filo della mandibola, quasi a voler emulare il profilo austero di Mussolini, di cui conservava in casa alcuni “gadget”. Bandiere con la croce celtica in campo nero, una copia del “Mein Kampf”, manifesto del nazismo di Adolf Hitler, perfino qualche copertina di “Gioventù fascista”, la rivista per ragazzi pubblicata nel ventennio.
“Ero in auto e stavo andando in palestra quando ho sentito per l’ennesima volta alla radio la storia di Pamela. Sono tornato indietro – avrebbe raccontato Traini ai carabinieri – ho aperto la cassaforte e ho preso la pistola”. Poi ha aperto il fuoco su un gruppo di uomini e donne di colore colpendone 6 e ferendone gravemente due. Sul suo volto, nessuna traccia di pentimento. Al momento di varcare la soglia della caserma per essere trasferito in carcere, Traini è apparso calmo ed impassibile.
“Il gesto si pone al di là di qualsiasi logica: la morte di Pamela ha creato un blackout totale nella sua mente. Un blackout che potrebbe configurare l’incapacità di intendere e di volere al momento del gesto stesso”. Con queste parole, il suo legale Giancarlo Giulianelli fa capire quale sarà la strategia difensiva. Intanto, è attesa per domani la richiesta di convalida del provvedimento da parte dei magistrati con le accuse di strage aggravata dalle finalità di razzismo.