Tra l’1 marzo e il 30 aprile in Italia c’è stato un eccesso di 46.909 morti rispetto allo stesso periodo del 2019. Durante questi due mesi, il numero di decessi attribuiti al Covid-19 è stato di 27.938, con una discrepanza di 18.971 persone e “con le dovute cautele” è possibile attribuire la maggior parte di queste morti alla pandemia in corso. È il dato più forte che emerge dal rapporto “Analisi della mortalità nel periodo di epidemia da Covid-19” realizzato dall’Inps, ma di certo non l’unico interessante.
Quest’anno, secondo l’istituto di previdenza, i cui dati sono stati analizzati da YouTrend, nei mesi a cavallo tra 2019 e 2020, il “consueto” picco invernale era stato addirittura più debole rispetto a quelli registrati nei tre anni precedenti. L’andamento della curva evidenzia, però, come tra inizio marzo e fine aprile si sia verificato un forte picco, più grave e veloce rispetto agli altri, che ha portato ad avvicinarsi ai 3.500 morti giornalieri. A livello nazionale l’aumento della mortalità rispetto alla media dello stesso periodo nei cinque anni precedenti si è attestata al +43%, con gli uomini (+48%), sempre più colpiti rispetto alle donne (+38%).
La mortalità giornaliera è aumentata in particolare tra le persone di età superiore ai 70 anni nel nord Italia, quasi raddoppiando. Mentre si evince un incremento di molto inferiore al centro e al sud, in cui tra le fasce d’eta 0-49 e 50-59 la mortalità è addirittura diminuita. In tutte le province più colpite dalla pandemia (Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza) si è rilevato un aumento dei decessi superiore al 200%, con un picco a Bergamo di oltre il 300%.
Queste conclusioni mettono fortemente in discussione i dati forniti dalla Protezione Civile. Secondo l’Inps sono informazioni problematiche “in quanto influenzate non solo dalla modalità di classificazione della causa di morte, ma anche dall’esecuzione di un test di positività al virus”. In pratica non tutti sono stati sottoposti a tampone prima di morire di Covid-19.