Massimo Torti è il Segretario generale presso la Federazione Moda Italia. In un’intervista a Lumsanews analizza il binomio moda-sostenibilità con particolare riferimento alla realtà aziendale italiana.
Cosa significa essere un’azienda di moda sostenibile?
“Un’azienda di moda può dirsi sostenibile quando il suo modello di business riesce a raggiungere un equilibrato rapporto tra tre aspetti: economici, dettati dalle variabili qualità/prezzo; ambientali con la realizzazione o la vendita di prodotti eco-sostenibili, riciclati o riutilizzati; sociali che tengano conto del contesto in cui viviamo e quindi anche delle persone che ci lavorano. Perché un prodotto di moda deve essere bello e buono, come usavano dire gli antichi greci. “Bello” dal punto di vista estetico e “buono” dal punto di vista etico”.
Nel corso degli ultimi due anni avete riscontrato un interesse maggiore da parte delle aziende e/o dei consumatori verso la sostenibilità? Che ruolo ha avuto la pandemia in tutto questo?
“Negli ultimi anni, l’attenzione all’ambiente è divenuto un ‘trend’ imprescindibile in tutti i campi produttivi e sociali. E sappiamo quale sia l’importanza dei ‘trend’ nel settore della moda, dove il consumatore è divenuto sempre più ‘ConsumAttore’ delle proprie scelte di acquisto. Con la digitalizzazione l’offerta di prodotti ha assunto una dimensione globale ed il contesto di mercato si è posizionato su un’offerta massificata, facendo emergere, nei consumatori più consapevoli, l’esigenza di prodotti di qualità, eco-sostenibili ed etici. La pandemia ha poi evidenziato la necessità di un ripensamento dei tempi della moda. Lo stesso Giorgio Armani, ha auspicato un rallentamento della produzione per ridurre gli sprechi, invocando il principio del ‘meno è sempre meglio’ legato al numero delle collezioni che, per alcuni gruppi del fast fashion, sono addirittura 24 all’anno, due al mese”.
In qualità di Federazione Moda Italia come vi state muovendo per spingere le aziende ad attuare strategie e piani operativi più sostenibili?
“Sostenibilità ed economia circolare sono al centro della nostra azione di accompagnamento delle imprese e della distribuzione commerciale del settore tessile, moda, calzature, pelletteria e accessori volta ad accrescerne la consapevolezza ed il valore in un’ottica di filiera. Per questo Federmoda ha collaborato con l’UNI, l’Ente Nazionale di Normazione per la realizzazione di una norma che introduce la connotazione ‘green’ nell’ambito dei requisiti standard di profilazione nei negozi di moda”.
A gennaio 2021 la Commissione europea ha avviato l’iter di iniziativa legislativa teso a costruire un’economia circolare e climaticamente neutra in cui i prodotti sono progettati per essere più durevoli, riutilizzabili, riparabili, riciclabili ed efficienti sotto il profilo energetico. Lei cosa ne pensa?
“Si tratta di un’iniziativa doverosa per accompagnare strategicamente le imprese verso obiettivi che riguardano tutti i cittadini europei. Il nuovo Piano europeo per l’economia circolare ed il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sembrano orientati quasi esclusivamente al settore produttivo, tralasciando l’importante ruolo che la distribuzione commerciale potrebbe assumere nell’ambito della raccolta dei prodotti usati, della gestione magazzini e della sensibilizzazione dei consumatori. Occorrono azioni di sostegno, come il riconoscimento di un credito d’imposta per le imprese della distribuzione commerciale. Federmoda ha evidenziato in sede di consultazione al Tavolo della Moda, presso il MISE, la necessità dell’introduzione di un’aliquota agevolata temporanea del 10%”.
Quanto incide l’etichettatura dei capi sulla qualità dei prodotti eco-sostenibili?
“L’etichettatura è la carta d’identità di un prodotto tessile o di una calzatura. È però importante che ci sia uniformità di informazioni ed è auspicabile l’adozione di un sistema per il tracciamento della filiera, ad esempio con la blockchain, anche con finalità di informazione al consumatore attraverso l’identificazione del punto vendita o del sito internet in cui avviene l’acquisto. Conoscere gli estremi del venditore (punto di vendita fisico o online con Partita IVA e Iscrizione al REC), infatti, produrrebbe notevoli benefici alla lotta alla contraffazione e all’abusivismo commerciale”.