“’A pajata? Che cos’è?” “Che è? Mejo che nun te lo dico… Magna prima”. Da quattordici anni i gourmet capitolini riguardavano con sospirosa nostalgia la scena di Mario Monicelli in cui Alberto Sordi, alias il marchese Onofrio del Grillo, proteggeva la sensibilità della sua amica francese Olimpia rifiutandosi di spiegarle che cosa avesse esattamente nel piatto. Un classico della cucina romana de na vorta bandito dalle tavole nel 2001 a causa di un insidioso nemico celato dietro la sigla Bse, che indica l’encefalopatia spongiforme bovina: in pratica, la cosiddetta “mucca pazza”, di cui però in Italia non si registrano casi fin dal 2009.
L’altra sera, finalmente, il Comitato permanente vegetali, animali, derrate alimentari e mangimi dell’Unione europea ha sdoganato la pajata – tecnicamente la prima parte dell’intestino tenue del vitello da latte – votando a favore della modifica del regolamento comunitario 999/2001 che proibiva di macellarla e metterla in vendita. La modifica è stata resa possibile da una risoluzione dell’Organizzazione mondiale per la sanità animale del maggio 2013, che ha sancito per l’Italia un nuovo stato sanitario per la Bse, con conseguente declassamento del rischio da “controllato” a “trascurabile”. Oltre ai golosi, canta vittoria anche la Coldiretti, che ieri ha festeggiato con un grande pranzo – ovviamente a base di pajata – a palazzo Rospigliosi: “Questo è un risultato importante – ha detto il presidente Roberto Moncalvo – innanzitutto sul piano gastronomico, ma anche su quello economico, valorizzando l’allevamento italiano in un momento di crisi”.
Nel giro di quindici giorni, il tempo che il nuovo regolamento sia pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, la pajata tornerà nelle macellerie e nei menù delle trattorie tipiche romane, che nel frattempo si erano adeguate sostituendo l’agnello al vitello da latte, anche se i cultori della tradizione giurano che il sapore non è lo stesso. Con i rigatoni (la morte sua), in umido o alla brace, persino sotto forma di supplì, la pajata tornerà ad allietare pranzi e cene dei romani. A patto di non fare troppo gli schizzinosi, magari pensando alla fine della scena del “Marchese del Grillo” in cui Alberto Sordi svela finalmente il segreto di quel pranzo delizioso: “Questa è merda, merda de vitello. So’ budella. Tu volevi sapere che era, no?”.
Anna Bigano