Il Tribunale dell’Aquila taglia il risarcimento per le vittime del terremoto del 2009. I deceduti sarebbero colpevoli di non essere usciti di casa dopo due scosse di terremoto molto forti, che seguivano una serie di ondate sismiche che durava da mesi. La sentenza in sede civile, firmata dalla giudice Monica Croci, si riferisce al crollo di uno stabile in centro del capoluogo abruzzese, nel sisma del 6 aprile 2009 in cui sono morte 24 persone sulle 309 complessive. Il Tribunale definisce quella di alcune vittime una “condotta incauta”, dalla quale deriva “un concorso di colpa che può stimarsi del 30%” in riferimento al risarcimento danni stabilito.
A seguito della tragedia, le perizie hanno attestato irregolarità in fase di realizzazione dell’immobile e una grave negligenza del Genio civile nello svolgimento del proprio compito di vigilanza sull’osservanza delle norme poste dalla legge vigente. Così gli eredi dei deceduti hanno citato in giudizio, per milioni di euro, sia i ministeri dell’Interno e quello delle Infrastrutture e Trasporti per le responsabilità della Prefettura e del Genio Civile nei mancati controlli durante la costruzione; sia il Comune dell’Aquila per le stesse responsabilità e le eredi del costruttore (nel frattempo deceduto).
Oltre alla corresponsabilità del 30% delle vittime, il Tribunale ha quindi condannato i due ministeri al 15% di responsabilità ciascuno e le eredi del costruttore al 40%. Le domande del Comune, invece, sono state respinte. “E’ una sentenza che ci ha meravigliato: ma da dove è venuto questo concorso di colpa? Persino la Cassazione ha confermato la condanna per uno dei componente della Commissione Grandi Rischi”, ha commentato all’Ansa l’avvocato Maria Grazia Piccinini, madre di Ilaria Rambaldi, 25enne studentessa morta nel crollo. “Come si può oggi dire che i ragazzi dovessero stare fuori quando tutti ricordano certe rassicurazioni? Sconcerta – ha aggiunto – che questo giudice che ha già fatto sentenze di risarcimento per il sisma si ricordi di questa cosa solo ora”.