In difesa della libertà d’espressione. Ieri, prima della sentenza, Erri De Luca aveva ribadito la sua posizione con una dichiarazione spontanea: «considero l’imputazione contestata – ha detto in aula De Luca – il tentativo di mettere a tacere le parole contrarie. Svolgo l’attività di scrittore e mi ritengo parte lesa di ogni volontà di censura». Più che l’eventuale effetto delle parole di De Luca sugli attivisti No Tav disposti a violare il codice penale pur di mettere in atto azioni dimostrative nell’area di cantiere, in gioco c’era quindi la stessa libertà di espressione: «l’architrave della democrazia», secondo il costituzionalista Michele Ainis. «Sono incriminato per un articolo del codice penale che risale al 1930 e a quel periodo della storia d’Italia – ha proseguito De Luca – Considero quell’articolo superato dalla successiva stesura della Costituzione della Repubblica».
«Sabotare, verbo nobile». Punto centrale, le espressioni scelte da De Luca durante l’intervista. «Sono incriminato per avere usato il verbo sabotare – si è difeso lo scrittore – Lo considero nobile e democratico: nobile perché pronunciato e praticato da valorose figure come Gandhi e Mandela, con enormi risultati politici. Democratico perché appartiene fin dall’origine al movimento operaio e alle sue lotte. Per esempio uno sciopero sabota la produzione». De Luca ha motivato anche la sua giustificazione delle cesoie rinvenute in macchina dei due arrestati, sostenendo che «un’opera colossale quanto nociva come la sedicente Alta velocità non può certo essere sabotata con delle cesoie», e che non può essere condannato il sostegno puramente verbale ad un’azione simbolica. Alla pronuncia della sentenza, in aula si sono sentite le urla di gioia della delegazione del movimento No Tav. Nel pomeriggio Erri De Luca si è spostato in Val di Susa per festeggiare l’assoluzione insieme ai suoi sostenitori.
Alessandro Testa