HomeCronaca La debacle dell’editoria e delle tv italiane colpite dalla spending review

La debacle dell’editoria e delle tv italiane colpite dalla spending review

di Samantha De Martin19 Settembre 2014
19 Settembre 2014

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Tira aria di crisi nei corridoi dell’editoria italiana e nelle redazioni delle maggiori aziende televisive, mentre la scure della spending review, abbattendosi su tv e giornali, accresce l’agonia di un settore che collassa nel buco nero di una situazione divenuta sempre più insostenibile.

Il caso più eclatante è quello dell’emittente T9, tv romana acquistata dai Caltagirone già alla fine degli anni 80, attualmente di proprietà della Sidis Vision che fa capo a Edoardo, fratello e socio di Francesco Gaetano Caltagirone. Una vicenda che risale alla scorsa estate e che ha visto licenziati in tronco i 19 lavoratori della società messa in liquidazione all’insaputa dei dipendenti. I Caltagirone gestiscono anche il Messaggero, il principale quotidiano romano, in cui è stato chiesto un nuovo stato di crisi per 39 pre-pensionamenti. Una richiesta arrivata pochi mesi dopo la chiusura definitiva del precedente stato di crisi per il quale non esiste ancora il decreto ministeriale, motivo per cui i giornalisti mandati a casa resterebbero senza stipendio e senza pensione.

Venti di tempesta scuotono anche le redazioni di casa Mediaset, dove i giornalisti del Tg5 sono stati costretti a trasferirsi a News Mediaset, l’agenzia interna del gruppo che dovrebbe svolgere il ruolo di servizio per i TgCom 24, Studio Aperto, Tg4 e Tg5. Una rivoluzione cui si aggiunge la decisione di TgCom 24 di ridurre la programmazione oraria a 10 ore al giorno (dalle 8.55 alle 19.05), lasciando al Tg5 il compito di coprire le altre fasce, seppur depotenziato con il trasferimento dei 19 redattori. Al ricorso al giudice presentato da alcuni lavoratori che hanno denunciato la violazione del contratto sindacale e il comportamento antisindacale da parte dell’azienda, Mediaset ha risposto riconducendo la scelta ad un adeguamento alla “tendenza di mercato” e in particolare alla linea seguita dalla Rai, principale concorrente di Mediaset. L’azienda milanese avrebbe agito seguendo esplicitamente come modello il “programma di sinergizzazione” illustrato pubblicamente dal direttore generale Rai, Luigi Gubitosi.

La crisi delle tv si insinua anche tra le pagine dei quotidiani, con l’Unità ancora in attesa di conoscere il proprio futuro, dopo la scomparsa dalle edicole dallo scorso primo agosto, e con la carta stampata che soccombe ad una crescita del digitale pari al 72%. Sono state 3,72 milioni le copie giornaliere vendute, in media, lo scorso anno, in calo del 5,2% rispetto al 2012, dato stimato su un campione di 59 testate. Nessun conforto giunge dalle inserzioni pubblicitarie che, vista la crisi generalizzata, fanno segnare per i quotidiani una contrazione, nel 2013, del 19%, attestandosi sui 823 milioni di euro. “Peggio di ieri, meglio di domani” è la definizione lanciata dal Rapporto sull’industria dei quotidiani in Italia, realizzato da Asig (Associazione stampatori italiana giornali) e dall’Osservatorio tecnico Carlo Lombardi per i quotidiani e le agenzie di informazione. Totale dei ricavi dei quotidiani sceso, nel 2013, del 12%, chiusura di 5 centri stampa, diminuzione del 6% capacità produttiva tra il 2014 e il 2013: cifre scoraggianti che si inseriscono in un quadro in forte agonia nel panorama dell’informazione.

Samantha De Martin

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