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Svizzera, addio al segreto bancario. È davvero una svolta?

di Raffaele Sardella09 Maggio 2014
09 Maggio 2014

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L’accordo, siglato il 5 maggio dalla Svizzera con l’Ocse, prevede lo scambio libero delle informazioni bancarie tra i paesi membri. La decisione intende ripristinare la legalità, ostacolando gli evasori che avevano fatto della confederazione elvetica il proprio paradiso fiscale.

Ci sono tuttavia degli aspetti dell’accordo ancora fumosi, che ridimensionano quella che dovrebbe essere una svolta epocale da parte dei “cassieri d’Europa”. Innanzitutto non è specificato alcun termine entro il quale adeguarsi agli standard internazionali di scambio automatico. In questo senso l’unico riferimento esplicito è contenuto negli accordi precedenti, che fissano la scadenza al settembre 2017. Gli evasori avrebbero quindi tutto il tempo per prendere eventuali contromisure. Il secondo aspetto è che l’accordo ha effetto solo sui 34 paesi membri dell’Ocse, più altri 10 non aderenti all’organizzazione. Questo limite fornisce ulteriori spazi di manovra agli evasori, per i quali è sufficiente non avere la residenza fiscale in uno di questi paesi. La firma di Berna sembra piuttosto un atto dovuto per ottemperare ad una correttezza politica di facciata. È significativo, ad esempio, che l’associazione bancaria Svizzera ha tenuto a precisare che la decisione non arriva come una sorpresa, ma è stata vagliata per un anno intero dagli istituti bancari, che si dicono disponibili a trovare “soluzioni adeguate” per gli asset fino ad oggi non soggetti a tassazione. L’intesa con l’Ocse presenta anche un’altra lacuna: manca di definire quale sia lo strumento giuridico che sarà utilizzato per dare attuazione allo standard. Nonostante questi presupposti, il segretario dell’Ocse Angel Gurria appare fiducioso: “L’impegno da parte di così tanti Paesi per adottare i nuovi standard globali, e farlo velocemente, è un altro passo avanti per assicurarsi che le frodi fiscali non avranno più un luogo dove nascondersi”. Si riaccendono anche le speranze del governo italiano che, da due anni e mezzo, tiene in piedi una trattativa con la Svizzera per cercare di ottenere un risarcimento sui presunti 120-150 miliardi di euro esportati illegalmente. I lavori sono fermi da Gennaio, quando il decreto varato dal governo Letta (sulla cosiddetta voluntary disclosures) è stato stralciato alla Camera. Ora la palla è a Renzi: l’accordo, se dovesse finalmente essere siglato dal Parlamento italiano, potrebbe portare nelle nostre casse finanche a 30 miliardi di euro.

Raffaele Sardella

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