Scricchiola la storica egemonia socialdemocratica in Svezia. Il day-after delle elezioni a Stoccolma racconta di un Paese in cui si rimescolano gli equilibri di potere e che, seppur senza diventare sovranista, non potrà più ignorare la spinta dell’ultradestra. Mentre da oggi parte la corsa per risolvere il rebus governabilità.
Le proiezioni elettorali danno l’uscente coalizione tra socialdemocratici e Verdi al 40,6%, incalzata dall’alleanza tra i partiti moderati di centrodestra, fermi al 40,3%. Il risultato più importante è però senza dubbio quello conseguito dai sovranisti di Svezia Democratica. Una crescita costante, quella del partito guidato dal giovane Jimmie Akesson, passato dal 6% del 2010 al 13% del 2014. E che dopo il voto di ieri ha sfiorato il 18%, aumentando i propri seggi in Parlamento e, di conseguenza, la sua influenza sull’agenda del futuro governo.
Il responso delle urne, largamente anticipato dai sondaggi delle ultime settimane, apre così una fase delicata. Quella della formazione di una alleanza di governo. Il primo ministro svedese e leader socialdemocratico Stefan Lofven ha detto che intende “restare al lavoro”, nonostante il suo partito, con il 28,3% delle preferenze, sia ai minimi storici. Lofven, inoltre, ha invitato al dialogo il centrodestra. Con l’obiettivo di arginare gli estremismi, che “non potranno mai offrire nulla di responsabile” al Paese.
I socialdemocratici, dunque, chiamano i moderati all’alleanza, sulla falsariga della vecchia legislatura, quando il governo operava grazie all’appoggio esterno delle opposizioni storiche. Tuttavia, il leader del centrodestra Ulf Kristersson ha manifestato altre intenzioni: ha detto ai suoi sostenitori che si attende un mandato per formare un nuovo governo e che Lofven dovrebbe dimettersi.
L’obiettivo di entrambi gli schieramenti resta comunque quello annunciato prima del voto: escludere la destra anti-immigrati. La trattativa, che potrebbe portare a un governo di minoranza come a un esecutivo di unità nazionale, potrebbe durare mesi. Rischiando di bloccare una delle più moderne economie del mondo, da sempre modello di welfare, scopertasi oggi un po’ meno tollerante ed europeista.