Sovraffollamento, condizioni igienico-strutturali inadeguate e crisi dell’approccio educativo. Sono gli effetti negativi del decreto Caivano segnalati da Antigone, da anni impegnata nella tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario. Un provvedimento che, secondo l’associazione, ha provocato una profonda crisi nel sistema di giustizia minorile. Lo ha spiegato a Lumsanews Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’associazione.
In quali condizioni versano le carceri minorili?
“Tutti gli istituti soffrono di un sovraffollamento negli ultimi decenni della storia d’Italia. I numeri sarebbero ancora più alti se non fosse che il decreto Caivano ha reso più facile per l’Istituto mandare via i ragazzi che compiono 18 anni e trasferirli in un carcere per adulti”.
Problemi che incidono sulla rieducazione dei giovani.
“Molti soffrivano di dipendenze importanti da droghe. Il carcere non gliele toglie, gliele controlla solo con l’uso di psicofarmaci, senza tentare realmente di farli disintossicare. Spesso troviamo giovani che non si reggono in piedi, che a mezzogiorno sono ancora sdraiati sul letto della cella con la luce spenta. È chiaro che non sono ragazzi facili, ma ci vorrebbe una presa di carico psicologica, di dialogo, che il sistema non riesce a offrire. E quindi li tengono tranquilli con gli psicofarmaci”.
Dei 17 Ipm presenti sul territorio, 12 ospitano più persone di quelle che dovrebbero. Quali versano in una situazione più drammatica?
“Sicuramente a Milano il Beccaria si è trovato in condizioni molto critiche, sia dal punto di vista delle condizioni igienico-strutturali che da quello detentivo. È vero che ci sono state proteste da parte dei ragazzi durante le quali hanno bruciato i materassi, però è anche tutto molto sporco. Quindi non si capisce perché non si potrebbe gestire in maniera un po’ più igienica. Ma anche a Roma, a Casal del Marmo sono mesi che l’ambiente è invivibile”.
Lei ha una visione molto critica del decreto Caivano. Quali sono gli effetti di questo provvedimento?
“Il decreto amplia la possibilità di applicazione della custodia cautelare in carcere per i minorenni. Infatti tutti i ragazzi che stanno entrando in carcere sono minori in custodia cautelare. Poi c’è stato un allargamento ai più giovani di tutte quelle misure, come il daspo urbano, che furono introdotte nel 2017 per gli adulti. Ovvero provvedimenti amministrativi come l’obbligo di non frequentare alcune parti della città e l’ammonimento del questore. Misure molto afflittive, che non guardano al benessere del ragazzo. E infine il decreto sta agevolando la pratica di trasferire i ragazzi nelle carceri per adulti, spostamenti che prima erano rari”.
E ora cos’è cambiato?
“Partiamo dal presupposto che i giovani che commettono un reato possono rimanere nei servizi della giustizia minorile fino a 25 anni. Adesso però il decreto Caivano dice che il ragazzo che mette in atto alcuni comportamenti, non descritti con precisione ma in maniera molto vaga, può essere inviato dal direttore in un carcere per adulti. Chiaramente previo nulla osta del magistrato di sorveglianza, che non fa però una valutazione ed è praticamente obbligato a rilasciarlo. Il trasferimento infatti non può essere autorizzato solo nel caso in cui metta in crisi la sicurezza del ragazzo. Una condizione che non si vede praticamente mai. Così, seguendo questo approccio, appena il direttore dell’istituto ha un ragazzo problematico e ha bisogno di spazio, può tranquillamente mandarlo via. E in generale tutti i giovani che sono in carcere sono problematici”.
Lei ha dichiarato che questo decreto “sta spostando il sistema della giustizia minorile verso un modello criminalizzante”. Cosa intende?
“Il modello di giustizia codificato nel Codice di procedura penale minorile del 1988 metteva al centro il percorso educativo del ragazzo. La filosofia di fondo era che, e questo è stato anche affermato in sentenze della Corte Costituzionale, prima ancora del potere punitivo dello Stato, c’era la necessità di recuperare il minore. E proprio nella Convenzione Onu del Fanciullo siglata nel 1989 c’è l’idea del superiore interesse del ragazzo. Il codice lasciava al magistrato di sorveglianza tante possibilità diverse. Così che potesse valutare la personalità sociale del giovane e suoi bisogni, e capire quale fosse la cosa migliore per lui per farlo tornare in società. Addirittura si poteva rinunciare all’azione penale ed era possibile sospendere il processo con quella che si chiama la messa alla prova (l’uscita dal circuito penale, ndr). Questo per qualsiasi tipo di reato, anche per i più gravi. Il decreto Caivano cambia questa filosofia. E sulla messa alla prova introduce degli automatismi, non rendendola possibile per alcuni reati”.
Questi cambiamenti rischiano di violare la Costituzione?
“Il Tribunale di Sorveglianza di Roma si è rivolto alla Corte Costituzionale per sollevare la questione di legittimità, quindi su questo punto vedremo come si esprimerà la Consulta.
Oltre a ciò, va detto che la misura cautelare prima era calibrata sulla minima pena possibile. In questo modo il minore poteva continuare a rimanere in contatto con il proprio ambiente di riferimento. Il decreto Caivano invece va in una direzione opposta. La facilità di trasferimento nelle carceri per adulti interrompe infatti la possibilità di rieducazione. Un messaggio sbagliato anche dal punto di vista culturale.”.
Perché?
“Così vince la cultura della punizione: ‘punisco perché tu sei delinquente. E se tu ti adatti a questo sistema, sopravvivi. Psicofarmaci, isolamento e rimani in galera’. È questo il messaggio che viene rivolto ai giovani carcerati. Ed è un messaggio che, a lungo andare, passerà agli stessi operatori che lavorano a contatto con i ragazzi”.
Secondo il report “Criminalità minorile e gang giovanili” del Ministero dell’Interno, tra il 2022 e il 2023 si è registrata una lieve inflessione delle segnalazioni di minori in Italia. Parliamo del 4,15 per cento in meno. Perché allora il governo parla di emergenza?
“È un modo per avere facile consenso. In passato abbiamo avuto l’emergenza dell’immigrato, quella del tossicodipendente, adesso abbiamo quella della baby gang. Funziona così: ‘Io costruisco un nemico e poi ti dico che ti difenderò da questo nemico. E come lo farò? Mettendolo in carcere’. È populismo penale, un genere di politica che usa questi meccanismi per raggiungere facili consensi, pur essendo indifferente alla realtà”.
La premier Giorgia Meloni ha dichiarato che a partire dal 2025 saranno realizzati 7 mila nuovi posti detentivi. Considerando che al momento il decreto resta in vigore, non pensa che potrebbe essere un passo per ridurre il sovraffollamento nelle carceri minorili?
“No, io credo che questi 7 mila posti di cui parlava Giorgia Meloni siano tutti nel sistema penitenziario degli adulti. Mentre per i minori ci saranno quattro nuove carceri. Come ad esempio quella di Rovigo, che dovrebbe accogliere i ragazzi di Treviso. Poi ci sarà la riapertura dell’Aquila e di Lecce, che sono Ipm chiusi da tantissimo tempo. E infine la nuova apertura a Santa Maria Capua Vetere. Detto questo, non penso assolutamente che sia un passo per risolvere il sovraffollamento. Il carcere dovrebbe essere una misura da utilizzare come ultima ipotesi, come tutti gli organismi sovranazionali sui diritti umani ci dicono”.
In questo momento, che funzione svolge il carcere in Italia?
“Lo usiamo per risolvere una serie di problemi enormi, che andrebbero affrontati da un punto di vista sociale. Nelle carceri finiscono ad esempio i senzatetto che magari vengono trovati ubriachi. Dobbiamo affrontare il problema della povertà, perché alla fine di questo si tratta. Del disagio economico e sanitario. Insomma, problemi sociali e non penali”.
Una nuova apertura è attesa anche a Bologna?
“Esatto, alla Dozza. Sarà una sezione all’interno del carcere per adulti. Un istituto tra l’altro già sovraffollato, e con spazi del tutto inadeguati. Non ha ciò che serve per far fare una vita piena di significato a dei minorenni. Ad esempio non ha le docce in cella. L’area educativa è lontana e la polizia dovrà prenderli ogni volta e portarli fuori”.
Il 2 ottobre 2024 lei scriveva sul suo blog che in merito alla condizione delle carceri minorili non si intravedeva alcuna via d’uscita. Ad oggi lo pensa ancora?
“Sì, lo penso ancora oggi e mi pare che questa situazione stia scoppiando. Non sanno più cosa fare e l’apertura della sezione alla Dozza è veramente un tentativo disperato. Bisognerebbe andare verso il dialogo ed educare così i ragazzi. Oggi invece il sistema è immobile”.