Dove non è arrivata la legge degli Stati uniti è arrivato il rimorso o chissà che cos’altro. Si è suicidata due giorni fa Paula Cooper, donna americana che nel 1986 era stata condannata a morte per omicidio ma era stata graziata per una commutazione della pena decisa dalla Corte suprema a seguito di una mobilitazione internazionale. Sessant’anni di carcere, diventati ventotto grazie alla buona condotta: nel 2013 era tornata in libertà ma due giorni fa si è tolta la vita con un colpo di pistola a Indianapolis, nello stato dell’Indiana.
Il suo volto e il suo nome resteranno indelebili nella mente di tutti gli attivisti che negli ultimi trent’anni ne avevano fatto un simbolo per la lotta contro la pena capitale. Paula aveva quindici anni quando uccise un’anziana insegnante di religione durante una rapina mediante la quale si appropriò di pochi soldi e una vecchia automobile. Ammise il delitto e fu condannata a morte ma la giovanissima età della donna non sfuggì a nessuno. Al Partito radicale italiano, ad esempio, che coerentemente con la sua fama di movimento impegnato per la difesa dei diritti civili portò anche il Parlamento europeo, nel quale sedeva Emma Bonino, ad approvare una risoluzione. E nemmeno a Papa Giovanni Paolo II che lanciò un appello in favore della grazia a Paula Cooper.
Fu un caso emblematico anche sul fronte internazionale, insomma: fu la clemenza a diventare esemplare e non la condanna. A seguito di questo episodio, infatti, fu aumentata l’età minima per l’inflizione della pena di morte da dieci a sedici anni. E soprattutto contribuì alla creazione di un dibattito mondiale sull’umanità della sanzione capitale. Un dibattito che tuttora divide i favorevoli e i contrari, chi sostiene che una vita si paga con una vita e chi invece continua a credere nella funzione rieducativa della pena anche per i reati più gravi e odiosi.
La sanzione capitale continua a essere in vigore nella maggior parte degli stati Usa e questo rappresenta – secondo molti – una grave contraddizione per una democrazia occidentale che riconosce le libertà individuali. Tuttavia negli ultimi anni sono aumentati i paesi che hanno abolito (alcuni non retroattivamente) o nei quali quantomeno non ci sono esecuzioni da moltissimi anni. Nel resto del mondo, sono 58 gli stati che mantengono la pena di morte per reati più o meno gravi che vanno dall’omicidio fino, in alcuni casi, al traffico di droga o ai crimini di opinione. Un risultato molto importante per la comunità internazionale è stata la moratoria delle esecuzioni approvata dall’Assemblea generale dell’Onu nel 2007, grazie anche al grande impegno dell’Italia.
Roberto Rotunno