Vito Michele Cornacchia è uno psicoterapeuta, specializzato nel sostegno a soggetti tossicodipendenti e a rischio di suicidio o di autolesionismo. Ex psicologo del carcere San Giorgio di Lucca, parla con LumsaNews delle carenze del sistema psichiatrico negli istituti detentivi in Italia.
Quali sono le principali difficoltà che uno psicologo penitenziario deve affrontare in una struttura detentiva in Italia?
“Fino a poco tempo fa gli psicologi non guadagnavano neanche 17 euro l’ora. Tuttavia la difficoltà non è solo dello psicologo, ma di un sistema che in Italia è disomogeneo. Se venisse applicata la norma, l’organizzazione in carcere sarebbe basata su uno staff settimanale o quindicinale composto da medico, funzionario pedagogico, psicologo e psichiatra. La squadra si occuperebbe dei nuovi giunti all’interno della struttura. Dopo aver incontrato la persona che è entrata nel carcere, lo staff ne valuterebbe il profilo. Se viene rilevato un rischio psicologico, il detenuto verrebbe seguito ogni giorno dall’équipe. Questo processo purtroppo non trova mai applicazione effettiva”.
Perché non viene messo in pratica?
“Perché il sistema non è organizzato. In un fenomeno tanto complesso come quello dei suicidi, la prevenzione e la conoscenza della storia individuale sono le armi più importanti. La prevenzione però è possibile solo attraverso una cura quotidiana che purtroppo nei penitenziari italiani non c’è. Uno dei motivi è sicuramente il sovraffollamento e la mancanza di personale. Se mancano gli operatori e gli spazi è evidente che i primi a risentirne saranno gli individui più fragili. Molto spesso si fanno discorsi politici sui problemi delle carceri, ma questo a volte sposta l’attenzione dalle persone di cui ci dovremmo occupare. I detenuti devono scontare la pena come persone, non come animali. A Prato ad esempio un ragazzo nonostante fosse segnalato a rischio suicidario è stato lasciato solo nella sua cella durante la giornata e si è tolto la vita. Questo avviene o perchè la minaccia del suicidio non viene presa sul serio oppure perchè il personale non riesce a gestire la quantità di detenuti”.
Il governo nel 2024 ha stanziato cinque milioni di euro per prevenire il fenomeno dei suicidi. I fondi sono bastati?
“Ogni regione ha un protocollo d’intesa per i rischi suicidari con i vari provveditorati e l’Asl locale. Il governo può stanziare i fondi che vuole, ma se manca l’organizzazione il problema non sarà mai risolto. Serve un servizio specialistico di qualità e affidabilità. Il problema vero è che tutti avanzano proposte su cui si può essere o meno d’accordo, ma nessuno parla di riorganizzare davvero il sistema carcerario”.