Stefano Biancu è un filosofo della comunicazione e professore associato di etica della comunicazione, etica della relazione d’aiuto ed etica delle professioni presso l’Università Lumsa di Roma. Nell’intervista rilasciata a LumsaNews sottolinea i pro e i contro della didattica a distanza, con particolare attenzione per la condizione educativa futura dei giovani.
La didattica a distanza ha imposto un nuovo modo di comunicare tra docenti e alunni. Lei come crede che sia cambiata la comunicazione scolastica in digitale?
“Paradossalmente vedo che gli studenti durante le lezioni in digitale interagiscono di più che in presenza. Questo probabilmente succede perché la mediazione dello strumento digitale abbassa i livelli d’ansia che invece ci possono essere durante una lezione in presenza o perché i ragazzi, essendo più isolati, sentono maggiormente il bisogno di interagire. Un altro discorso invece è quello legato agli esami perché in quel caso anche in digitale qualsiasi strumento è utile per copiare, per cui se dal punto di vista sanitario gli esami in presenza sono più rischiosi delle lezioni, dal punto di vista della serietà gli esami online ne hanno una che tende allo zero”.
La didattica a distanza ha quindi ha migliorato o peggiorato l’apprendimento e l’insegnamento?
“La didattica a distanza è sicuramente molto più faticosa della didattica in presenza, sia per gli alunni che per i docenti. Io certamente posso dire di preferire la didattica in presenza rispetto a quella online, perchè quest’ultima è molto faticosa anche solo fisicamente”.
A proposito di fatica, cosa ha significato secondo lei per un ragazzo dover cambiare abitudini, sia a livello scolastico che non, da un giorno all’altro?
“Diciamo che dal punto di vista delle generazioni più giovani penso sia stato un disastro, perché in fondo loro, secondo le statistiche, dal punto di vista sanitario sono i meno a rischio, per cui hanno fatto e stanno facendo un sacrificio enorme per proteggere le fasce più deboli. Voglio dire, per un adolescente rimanere in casa per tanto tempo è molto più difficile che per un anziano e di questo bisognerà tenerne conto in futuro, quando su di loro ricadranno le conseguenze di questo terribile periodo”.
Secondo una ricerca promossa da Save the Children e realizzata da Ipsos, il 28% degli studenti italiani ha dichiarato di avere un compagno di classe che ha abbandonato gli studi. Lei cosa ne pensa di questo fenomeno?
“Uno dei problemi che comporta la didattica a distanza è sicuramente l’aumento del gap tra chi ha risorse, sia intellettuali che materiali, e chi non le ha. Parlo anche di un aspetto materiale perché lo ritengo molto importante. Voglio dire, seguire lezioni da casa richiede uno sforzo notevole, che poi si amplia quando si ha un’intera famiglia a lavorare a distanza. Tra fratelli, sorelle e genitori in smart working è difficile riuscire a conciliare il tutto, anche gli strumenti e questa cosa aumenta le differenze. Dal punto di vista psicologico poi la solitudine sta diventando devastante, come dimostrano molti studi, per cui l’insieme di tutte questi fattori ricade anche sull’apprendimento e sul rendimento scolastico, certo”.