NEW YORK – “Un capolavoro emozionante ma problematico”, con “contraddizioni, distorsioni e stereotipi razziali”. È questa l’avvertenza per il pubblico che arriva dal Metropolitan Opera di New York, che fino al prossimo 7 giugno ospiterà l’ultimo capolavoro di Giacomo Puccini.
In una nota il blasonato teatro d’opera della Grande Mela ha infatti offerto un avvertimento al pubblico sull’opera dedicata alla impossibile storia d’amore tra il principe tartaro e la figlia dell’imperatore, in ossequio al “politically” correct e alla “cancel culture”.Tra le distorsioni e gli stereotipi individuati dal Met ci sono i nomi di alcuni personaggi, dalla principessa Liù ai ministri Ping, Pang e Pong, e il riutilizzo di melodie tradizionali ri-orchestrate in stile occidentale.
Tune in to The Robert K. Johnson Foundation–Metropolitan Opera International Radio Network or Metropolitan Opera Radio on @siriusXM today, March 16, at 12PM ET for a live broadcast of Puccini’s Turandot. pic.twitter.com/F4xaUtYOwz
— Metropolitan Opera (@MetOpera) March 16, 2024
Se “Turandot” può essere considerata “l’ultima grande opera italiana, questa definizione non tiene conto del fatto che gran parte di essa non è italiana”, scrive Christopher Browner, caporedattore delle pubblicazioni del Metropolitan. “Dall’ambientazione alla trama e, soprattutto, alla maggior parte della musica, Turandot si ispira ad altre culture. Ma non è nemmeno autenticamente cinese. Una proiezione occidentale dell’Oriente, piena di contraddizioni, distorsioni e stereotipi razziali”, sottolinea Brower.
Così cambia la percezione di una delle opere più conosciute e popolari del XX secolo, a quasi cento anni dalla sua prima rappresentazione nel 1926, a pochi mesi dalla morte del compositore. Una scelta secondo il Met “essenziale”, che sembra riprendere le fila della recente polemica avvenuta in Inghilterra su un altro capolavoro operistico di Puccini, “Madama Butterfly”. La Royal Opera House di Londra nel 2022 aveva modificato la sua messa in scena dell’opera in modo che fosse “più in linea con il contesto storico della storia”, che si svolge a Nagasaki, Giappone, all’inizio del XX secolo. All’epoca, Olivier Mears, direttore della Royal Opera House, sottolineò che l’opera, pur essendo un “capolavoro”, era anche “un prodotto del suo tempo”.