Sono ore calde per la sorte dell’Ilva. Si terrà questa mattina il vertice risolutivo per decidere lo spegnimento degli impianti. Quello definitivo, dato che il provvedimento del 26 luglio non è mai diventato esecutivo. Al terzo piano del palazzo di giustizia di Taranto si incontreranno quindi i magistrati che hanno firmato il dispositivo di sequestro e i custodi giudiziari dei reparti finiti sotto chiave, gli ingegneri Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lo Frumento.
Le proteste.La Fiom nel frattempo annuncia battaglia. Il segretario nazionale sta organizzando assemblee all’interno dello stabilimento e ha già annunciato una manifestazione nazionale per sabato 20 ottobre di tutte le aziende in difficoltà, dall’Alcoa alla Fiat, dall’Ilva a Finmeccanica. «Siamo di fronte a un’emergenza nazionale. Per difendere l’industria nel nostro Paese – ha detto Landini – servono anche politiche industriali che il governo finora non ha avuto e che devono essere messe in campo. Il valore della vicenda Ilva è dimostrare che è possibile difendere il diritto al lavoro e il diritto alla salute. Questo farebbe fare a tutto il Paese un passo in avanti».
Il tavolo delle trattative. I custodi giudiziari dovranno relazionare sulla situazione attuale degli impianti. Ma la percezione generale è che arriveranno brutte notizie per gli operai della fabbrica siderurgica. Già a settembre, su ordine del gip Fabrizia Tudisco, i tre ingegneri hanno fatto un sopralluogo negli stabilimenti. E non si sono certo complimentati con chi ha gestito finora la fabbrica. Tutt’altro, hanno messo nero su bianco prescrizioni durissime, ordinando lo spegnimento di due altiforni e la dismissione di un terzo da tempo non utilizzato, la chiusura quindi di oltre duecento forni della cokeria e di un’acciaieria.
I vertici della fabbrica però non ci stanno: «Senza produzione è impossibile sostenere gli investimenti per la messa a norma dell’area a caldo» hanno sostenuto i legali dell’azienda. Ma le loro argomentazioni si sono infrante sull’ennesimo no del gip, spiegato con «l’impossibilità di mercanteggiare sulla vita».
A Taranto, tra salute e lavoro, pare stia per prevalere la prima. Un po’ tardi, se si pensa che solo nei primi sei mesi del 2012 sono raddoppiati i ricoveri per tumore.