“Un attimo” oppure “Cosa?”. Sono le risposte frettolose e distratte, a volte quasi istintive, che i genitori danno ai propri figli. Quasi mille adolescenti, tra i 14 e i 20 anni, intervistati dall’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, hanno ammesso che queste spesso sono le risposte che si sentono dare da padri e madri con lo sguardo sul display.
Gli occhi degli adulti non si spostano dallo schermo, quasi il 38% risponde “Un attimo”, il 22% “Cosa?” e il 15% “Ti sto ascoltando”. Da tempo viene studiato come la tecnologia stia cambiando i rapporti tra le persone. “Prendere tempo, mettere in standby la domanda di attenzione dei nostri figli, significa che in quel momento siamo ipercoinvolti. Si dice ‘Un attimo’ ma in verità si è altrove: una distrazione digitale che allontana dalla connessione emotiva”. Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta, presidente dell’associazione Di.Te, insiste proprio sul tema della concentrazione. “Studi scientifici ci dicono che ogni volta che riceviamo una notifica e guardiamo il display, poi occorrono circa 80 secondi per tornare con la mente a quello che stavamo facendo prima, quindi non riusciamo a ricevere e ad elaborare l’informazione richiesta dal figlio per un tempo lunghissimo”.
Quando invece sono i genitori a cogliere i ragazzi con lo smartphone in mano è una pioggia di giudizi. Il 35% attacca con un classico “Sempre con quel cellulare in mano”, seguito da “Spegni subito” con il 20% e “Quante volte ti ho detto di che non devi usare il cellulare a tavola” 12%.
“Siamo di fronte a quella che chiamiamo incoerenza digitale – aggiunge Lavenia – chiediamo ai ragazzi di non fare quello che stiamo facendo noi. Questo ci porta a perdere, a mettere una barriera tra noi e loro. Gli adolescenti sanno usare la tecnologia meglio degli adulti, ma gli adulti non devono rinunciare a spiegare ai figli il senso delle cose. Dobbiamo imparare a stare nel mondo digitale”.