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HomeCultura L’ultimo paradosso social: nelle democrazie oscurano, nelle dittature si adattano

Social, l'ultimo paradosso
nelle democrazie oscurano
nelle dittature si adattano

Dal ban a Trump al caso Cina-Clubhouse

se l'Intelligenza artificiale non basta

di Claudia Torrisi14 Marzo 2021
14 Marzo 2021

Pixabay License Libera per usi commerciali Attribuzione non richiesta

6 gennaio 2021. Una folla di manifestanti pro-Trump, dopo le accuse di brogli elettorali lanciate dal tycoon contro Joe Biden in un infuocato comizio, assalta il Congresso di Washington. Twitter, piattaforma con cui “The Donald” è salito alla ribalta intrattenendo un rapporto diretto con milioni di elettori, non perdona l’ex inquilino della Casa Bianca, che viene espulso a vita.

8 febbraio 2021. Il regime cinese blocca i server dell’app Clubhouse, social network utilizzato nel tentativo di aggirare la censura che già colpiva altri mezzi di comunicazione elettronica. Qualche mese prima, il 29 luglio 2020, in Turchia, il presidente Erdogan aveva varato una legge per il controllo dei social.

È l’ultimo paradosso dei social. Come viene modificata la libertà di espressione se le piattaforme possono intercettare tramite gli algoritmi e bloccare autonomamente il profilo della persona più potente del mondo come quello di qualsiasi altro utente?

E, ugualmente, che cosa resta della libertà di espressione se quegli stessi social network, in quanto aziende private, non possono fare nulla per contrastare il bavaglio dei governi autoritari o se addirittura si adattano ai loro diktat?

Flusso delle notizie e timeline sotto controllo. 

I social, da tempo, non rappresentano più solo un luogo di espressione personale degli utenti, ma anche e soprattutto un importante mezzo per la circolazione delle informazioni e della comunicazione politica. Tramite un efficace utilizzo degli algoritmi e dell’Intelligenza Artificiale, regolano il flusso delle notizie e stabiliscono i contenuti più appropriati da mostrare sulla timeline di ogni utente.

Sarebbe meglio dire in verità i contenuti che gli Over The Top ritengono si adattino ai gusti dei navigatori online e alla loro profilazione. Il rischio è che non si diffondano in maniera egualitaria le notizie. “Si tratta del cosiddetto confirmation bias”, spiega a Lumsanews Francesca Comunello, sociologa e docente di comunicazione presso La Sapienza, “ovvero l’idea che noi andiamo a cercare le conferme di ciò che già sappiamo e crediamo. Non è una novità introdotta dai social”.

Le piattaforme, però, hanno la pretesa di essere neutrali. Nel 2018 l’Unione Europea ha imposto loro un codice di autoregolamentazione. I principi fondamentali riguardano le politiche pubblicitarie, la garanzia di trasparenza, le misure per la privacy e l’affidabilità delle notizie. A questi provvedimenti si aggiunge il Regolamento europeo per la protezione dei Dati personali, in vigore sempre dal 2018, per cui i colossi del web possono trattarli soltanto con determinate finalità e il consenso degli utenti.

Infine ci sono i termini di servizio. Twitter si riserva il diritto di “sospendere o risolvere gli account oppure cessare la fornitura dei servizi” se si violano le norme e le linee guida interne. Allo stesso modo Facebook chiede determinati impegni all’utente. L’obiettivo dichiarato è rendere le piattaforme più sicure e responsabili sulla base di alcuni standard che comprendono il divieto di pubblicare contenuti violenti o che istighino alla violenza, con rappresentazioni di abusi o autolesionismo, che minacciano la sicurezza comune, che promuovono truffe, diffondono fake-news o non rispettano la proprietà intellettuale.

Le tante “censure” di Twitter e Facebook contro Donald Trump

Le condizioni di uso che hanno bloccato Trump. 

Sarebbe stata proprio l’applicazione di queste condizioni a consentire di eliminare l’account di Trump. Già nei mesi precedenti, durante la campagna elettorale del 2020, alcune pubblicazioni dell’ex presidente erano state censurate. La condotta del tycoon era stata ritenuta illecita perché avrebbe incitato alla violenza contro gli oppositori politici e perché “anti-scientifica” in relazione al Covid-19.

Il rispetto delle policy adottate da ciascuna piattaforma social è garantito soprattutto dal sistema informatico. L’Intelligenza Artificiale infatti, tramite le complesse funzioni matematiche degli algoritmi, è in grado di sostituire l’intelligenza umana nell’attuazione di determinati compiti. Gli algoritmi, nonostante necessitino dell’uomo per essere scritti, sono poi in grado di svolgere autonomamente la propria funzione. I social media si sono quindi dotati di strumenti specifici per contrastare le fake news e i fenomeni di hate speech sempre più diffusi sulle piattaforme.

Il Covid-19, che nell’ultimo anno e mezzo ha monopolizzato l’attenzione del mondo intero, ha portato con sé anche un altro fattore: l’infodemia. Questo neologismo, entrato nel nostro vocabolario nel 2020, indica quel flusso eccessivo di notizie che, specialmente se non verificate con attenzione, provoca confusione e alimenta incertezza.

Il terreno fertile per la infodemia. 

I social rappresentano un terreno fertile per la disinformazione, tant’è che Facebook a febbraio ha dichiarato di voler mettere un freno alla diffusione delle fake news. Il colosso di Mark Zuckerberg intende adottare una nuova politica basata su un più radicale utilizzo degli algoritmi. Le “bufale” individuate dall’Intelligenza Artificiale non verranno più solo contrassegnate o rese meno visibili. Gli utenti che scrivono (ma anche commentano o condividono) fake news riguardanti la pandemia o dichiarano posizioni no vax vedranno il proprio post automaticamente eliminato dalla piattaforma. In modo simile, questa politica è stata adottata da Twitter che, come già accennato, durante la campagna elettorale statunitense ha individuato e censurato i tweet dell’ex presidente Trump considerati illeciti in quanto contenenti false informazioni riguardanti la pandemia.

In questo senso, come spiega Marco Pratellesi, giornalista e docente di Tecniche e Linguaggio del Giornalismo Multimediale alla Lumsa e allo Iulm, l’Intelligenza Artificiale si “sta rivelando fondamentale nella battaglia quotidiana contro la trappola delle fake news”. Pratellesi affronta l’argomento in un articolo pubblicato sul mensile Prima Comunicazione. “L’AI non può essere considerata una soluzione per tutti i mali che affliggono l’informazione, ma può fornire un importante contributo. Ad esempio – prosegue il giornalista – si sta rivelando fondamentale nell’individuazione ed estrazione di storie che circolano sui social media e nella Rete prima che queste diventino notizie potenzialmente virali”.

Il modello autoritario della sorveglianza online. 

Speculari al potere esercitato dai social network nelle società democratiche, ci sono i limiti imposti dai regimi dittatoriali. In Corea del Nord è vietato l’utilizzo di tutte le piattaforme web. In Cina invece, attraverso l’Intelligenza Artificiale, il presidente Xi Jinping ha imposto un modello di ferro basato sulla sorveglianza online dei cittadini, rafforzato durante la pandemia. Gli utenti hanno più volte tentato di aggirare la censura. L’ultima volta con Clubhouse, social network in cui si comunica tramite messaggi vocali in diretta. Gli iscritti hanno iniziato a discutere di temi controversi e l’8 febbraio 2021 il governo ha bloccato i server dell’app.

In Turchia, il presidente Erdogan nel luglio scorso ha varato una nuova legge che consente al governo un maggior controllo dei social media. “È chiaro che, rapportandolo ai nostri valori democratici, un governo che blocca internet e lo censura in quelle forme chiaramente non rispetta le libertà fondamentali dell’uomo. Per noi quella è sicuramente censura perché blocca la libertà di espressione”, sottolinea il giornalista di Wired Luca Zorloni.

La verità è che, pur volendo, le piattaforme possono fare ben poco per fermare questi bavagli. Per il giornalista della Stampa Andrea Daniele Signorelli, “le piattaforme hanno solo due possibilità: o accettano le richieste di uno Stato oppure se ne vanno di lì”. Ciò accade perché i social network, pur essendo ormai alla portata della maggior parte della popolazione e rappresentando quindi un bene ‘pubblico’, restano comunque aziende private che non possono imporre una propria linea a quella rappresentata dalle leggi dello Stato.

È evidente quindi come i social, nel rapporto con certi Paesi a guida autoritaria, si trovino talvolta a prestare il fianco a determinate strategie politiche. Per i regimi è semplice sfruttare le opportunità che la tecnologia mette a disposizione. Gli algoritmi infatti, se progettati con quella finalità, danno la possibilità di plasmare a proprio piacere i contenuti diffusi dai social e di censurare ogni tentativo di opposizione o discussione critica. I governi non democratici sfruttano gli accordi con le piattaforme social per filtrare le informazioni scambiate tra i cittadini, delegando spesso il “lavoro sporco” agli algoritmi, che agiscono in autonomia individuando parole classificate come pericolose ed eliminando direttamente tutto il contenuto in questione.

La libertà digitale a rischio. 

L’Organizzazione non governativa Freedom House nel suo report annuale Freedom on the Net 2020 ha analizzato il livello di libertà digitale in 65 Stati del mondo e ha individuato alcuni Paesi con il trend di declino peggiore dal 2019 al 2020: Myanmar, Kyrgyzstan, India, Ecuador e Nigeria. Dal report emerge quanto il desiderio di “sovranità digitale” di certi regimi non democratici si sia spinto fino al punto da stringere alleanze quanto meno discutibili con le piattaforme social, in modo da consentire ai governi di controllare in maniera mirata i contenuti circolanti in rete e di eliminarli se considerati illeciti.

La sovranità digitale è un argomento che interessa anche alcuni Stati europei, ad esempio la Polonia. Il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, a gennaio di quest’anno ha parlato dell’importanza di un regolamento che limiti l’azione dei social network e la possibilità che essi hanno di stabilire autonomamente i contenuti da eliminare. “Non può esserci consenso alla censura”, ha scritto in un post su Facebook. “Gli algoritmi o i proprietari di giganti aziendali non dovrebbero decidere quali opinioni sono giuste e quali no”.

Il dibattito, quindi, resta aperto. E le criticità sono in realtà due facce della stessa medaglia: il diritto di sospendere gli account contrari alle norme d’utilizzo da una parte, l’impossibilità di garantire la libertà di parola ai cittadini di tutto il mondo dall’altra. O ancora, come spiega il docente di diritto dell’informazione presso le Università Cattolica di Milano e Lumsa Ruben Razzante, la libertà di iniziativa economica che consente ai social di sfruttare gli algoritmi come propri segreti aziendali da una parte, il bene pubblico dell’informazione dall’altra. “Il discorso – afferma Razzante – si riconduce all’opacità di questi algoritmi. Cioè al fatto che non si sa che cosa ci sia dietro, quali siano i criteri”.

Se dunque è innegabile che l’Intelligenza Artificiale porti con sé aspetti positivi e se è vero che il progresso tecnologico è importante, di certo emerge con forza la necessità di garantire le libertà fondamentali di ogni cittadino. Ovunque. Il potenziale contributo dei social contro la diffusione di contenuti illeciti è innegabile. Ma, come sostiene Razzante, “la discrezionalità di queste aziende può portare anche a manipolazioni, censure, cancellazione di opinioni non gradite”. Nelle dittature come nelle democrazie.

 

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