Due gol nel nome del padre. Giovanni Pablo Simeone è l’eroe di Marassi. La doppietta dell’argentino, figlio di Diego Pablo, allenatore dell’Altetico Madrid, ha spalancato al Genoa le porte della vittoria per 3-1 contro la Juventus. Un’impresa inaspettata che ha riaperto definitivamente la corsa scudetto.
Sulle spalle un cognome pesante, troppo per un ventunenne al primo anno in Italia. In campo però cattiveria agonistica e fame non mancano mai. Tipico di chi sa di dover faticare il doppio per emergere. Prima un tap-in vincente sotto porta, poi un’incornata in avvitamento alle spalle di Buffon. Un gesto già visto. Un “dejà vu” per gli storici del calcio. Non è la prima volta, infatti, che la fronte di un Simeone manda all’aria i piani della “Vecchia Signora”. Era l’aprile del 2000. Diego Pablo Simeone vestiva la maglia della Lazio e segnava in trasferta, proprio ai bianconeri, il gol della rimonta verso il tricolore.
Dal “Cholo” al “Cholito”, quando fermare la Juve è un vizio di famiglia. “Adesso vediamo cosa sai fare tu”, aveva detto Diego a Giovanni in settimana. La risposta è arrivata al Luigi Ferraris: due perle in 13 minuti. “Dopo le partite con papà parliamo sempre un po’ di quello che ha visto lui e di quello che ho visto io – ha rivelato Giovanni al termine della gara -. Ma sono cose che restano lì. Anche se tre giorni fa mi ha detto che è nel sangue di un Simeone fare gol».
Corsi e ricorsi storici. La zuccata vincente, la corsa a braccia aperte e l’avversario zebrato. Similitudini a distanza di anni. Coincidenze apparenti che aumentano il romanticismo intorno a una favola incredibile. Un giornata speciale per la famiglia argentina, o meglio “emozionante”, usando le parole di Diego Pablo Simeone. Il “Cholo” su Instagram ha scritto così, confrontando la foto della sua esultanza nel 2000 con quella di Giovanni. Intanto, il “Cholito” punta in alto e sogna la nazionale argentina: “Se il ct Bauza dovesse chiamarmi, sarei felice. Tuttavia, per arrivare lì devo fare bene prima al Genoa e sfruttare le mie occasioni”. Nel dna non solo il gol, ma anche la cultura del lavoro: tale padre, tale figlio.