Silvia Romano, la cooperante italiana rapita in Kenya il 20 novembre 2018, sarebbe viva ma sarebbe stata costretta dai rapitori “all’islamizzazione e al matrimonio islamico”. Lo afferma il Giornale, che cita fonti di intelligence. Gli uomini che la tengono prigioniera stanno attuando nei suoi confronti “una sorta di lavaggio del cervello, una manovra di pressione psicologica che punta a recidere i legami affettivi e culturali con la sua patria d’origine”.
Secondo gli 007 italiani, i sequestratori di Silvia “vorrebbero farle assimilare, sino a sentirsene parte integrante, l’ambiente dove viene costretta a vivere: l’interno della Somalia, il Paese africano dove più forte è la presenza jihadista e dove intere zone, soprattutto nel Sud, sono sotto il controllo delle fazioni integraliste vicine alla guerriglia”.
La ragazza si trova probabilmente tra il Sud e il Sudovest del Paese, dominato dai mujaeddin di Al Shabab, una tra le fazioni più integraliste della jihad. Rapita alla fine del 2018 nel villaggio in Kenya di Chakama, 80 km da Nairobi, Silvia fu portata in Somalia poche settimane dopo il sequestro. Ha dovuto sposarse un musulmano, e probabilmente il marito è un uomo dell’organizzazione che l’ha sequestrata. La strategia dei jihadisti è normalmente quella di indottrinare i prigionieri di guerra in modo da puntare ad avere, dopo la liberazione, un infiltrato da utilizzare per la Guerra Santa nel Paese di origine.