La prima a fermarsi, l’ultima a ripartire. Come tutto il mondo dello spettacolo, dopo aver interrotto la propria attività all’inizio di marzo anche la musica dal vivo si prepara a un lungo stop a causa del Coronavirus. “Realisticamente, fino all’autunno del 2021”, ha ammesso sul New York Times l’esperto di bioetica Zeke Emanuel, già al fianco di Obama nell’ObamaCare e ora collaboratore di Joe Biden. Oltre un anno e mezzo giù dal palco, quindi.
Per quanto riguarda il nostro Paese, Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità, ha rimandato qualsiasi attività “aggregativa” a dopo la scoperta del vaccino. Intanto, in attesa di un’ufficialità governativa che, si presuppone, arriverà insieme alla “fase due”, gli eventi dell’estate sono già stati rimandati al 2021 dagli stessi organizzatori, con danni sia per le multinazionali dei live che per i precari del settore. Che invocano le stesse tutele riconosciute ad altre categorie.
Le conseguenze del lockdown sulla musica
A fine maggio saranno 4.200 gli eventi cancellati dall’inizio del lockdown, con 63 milioni di perdite per il settore dei live e 130 milioni per l’indotto. Poi, senza il protrarsi dello stop, sarebbe stata l’estate degli stadi di Ultimo, Vasco Rossi, Tiziano Ferro, Cesare Cremonini, con centinaia di migliaia di biglietti già venduti, per i quali i grandi organizzatori, come Live Nation e Vivo Concerti, prevedono voucher nel caso in cui i clienti chiedano rimborso. Senza di loro, a settembre si potrebbe arrivare a 350 milioni di rosso nel settore e 600 nell’indotto.
“La verità è che muoviamo l’economia”, spiega a Lumsanews Vincenzo Spera, presidente di Assomusica, associazione italiana degli organizzatori e dei produttori di concerti. “Ma siamo sempre stati sottovalutati dalle istituzioni. Saremo gli ultimi a ripartire e così ci rimetteranno tutti. Speriamo di compensare queste prime perdite con i fondi stanziati dal Mibact per lo spettacolo, ma bisogna vedere come verranno distribuiti”. Del resto, il problema riguarda tutto il settore della musica: con la chiusura dei negozi la vendita dei supporti fisici è crollata del 70%, perdendo il ritorno dello streaming e mettendo in conto un mancato ricavo per il 2020 di almeno 100 milioni di euro. Tant’è che alcune città stanno valutando delle nuove soluzioni d’emergenza, come i concerti drive-in.
Intanto, di fronte all’emergenza sono stati gli artisti stessi a mobilitarsi. Laura Pausini ha lanciato un appello a cui hanno aderito oltre 80 personalità dello spettacolo, per proteggere con urgenza “i musicisti, gli autori, i dj, i ballerini, gli operai, i tecnici, i lavoratori speciali, i professionisti di ogni settore dello spettacolo, i lavoratori senza cassa integrazione, gli occasionali, le maestranze dell’intrattenimento”. Che sono 60mila, solo per gli eventi di musica popolare contemporanea. E in molti, senza tutele.
Gli invisibili del dietro le quinte
Secondo il Centro studi doc, in tutto sono 200mila i lavoratori a intermittenza, “a chiamata”, nel mondo dello spettacolo. “Sono gli invisibili: finiscono sempre fuori da ogni contratto di lavoro, non sono dipendenti e non hanno neanche partita Iva. Così ora sono senza sussidi da autonomi e senza cassa integrazione”, dice Spera. “Sono promoter, tecnici, organizzatori, scenografi ma anche i musicisti stessi. E sono in tanti perché dipendono dalla creatività degli artisti: se loro non ‘creano’ non c’è concerto”.
“Dietro ogni grande live ci sono almeno 300 professionisti, molti dei quali proprio ‘a chiamata'”, spiega a Lumsanews Demetrio Chiappa, fondatore del Centro studi doc. “Sono organizzati in cooperative per motivi previdenziali e di sicurezza sul lavoro, e finora sono rimasti indietro nonostante gli sforzi della politica. Le Regioni avevano prospettato la cassa in deroga, ma poi l’Inps, che avrebbe dovuto erogare il sussidio, si è messa di traverso stabilendo che fosse calcolato solo sulle giornate effettivamente accese da gennaio. Considerando che c’è un limite annuo di 30 chiamate, è chiaro che l’inverno è un momento morto: quanto può aver lavorato uno che fa pianobar fra gennaio e febbraio?”.
E poi i locali più piccoli, chiusi da due mesi e che ora “rischiano di scomparire”. Parola di Federico Rasetti, vicepresidente di KeepOn Live, prima associazione di categoria di live club e festival italiani. “I posti fino a mille persone di capienza vivono un equivoco normativo”, spiega a Lumsanews. “Alcuni sono equiparati a discoteche, altri a ristoranti. Ma con costi – programmazione, personale tecnico, sicurezza – più onerosi di entrambi”. E ancora: “Dallo Stato, finora, aiuti insufficienti. Chi è registrato come impresa ha avuto i 25mila euro, chi appartiene al terzo settore niente. Ci aspettiamo qualcosa coi prossimi decreti, ma andrebbe riformato tutto”. In questa prospettiva, KeepOn ha chiesto al Governo fondi e il riconoscimento dei live club come imprese e Centri artistici culturali. E non è la sola.
Le proposte, le tutele, la ripartenza
Le associazioni di categoria Afi, Anem, Fem, Fimi e Pmi e la stessa Assomusica hanno raccolto dieci proposte per affrontare questa situazione drammatica. In sintesi: fondi per tutta l’industria, sgravi fiscali (Iva al 4% come per l’editoria) e tempi certi per la ripartenza. “Oltre ad aiuti per chi finora ne é rimasto escluso: sono certo arriveranno, sarebbe disumano il contrario”, puntualizza Spera, che per gli invisibili indica nel “reddito d’emergenza” la soluzione più congrua. Per il resto, il rischio è che le imprese musicale rimangano escluse dai 130 milioni stanziati dal Governo per gli operatori culturali e che una crisi di liquidità (dovuta al crollo dei fatturati) metta fine alle loro attività.
“Lo spettacolo va equiparato all’impresa culturale. E gli operatori inattivi avranno bisogno di sussidi fino alla fine”, sostiene Chiappa. “Ai locali che fanno musica dal vivo andrebbero riconosciute le tutele e gli sgravi dei cinema d’essai”. È la stessa opinione di Rasetti: “Se lo Stato riconosce i live club come una categoria a sé, con una norma come quella per il cinema d’essai, con criteri oggettivi e fondi, ci consentirebbe di riaprire più avanti. Per ricominciare ora, invece, dovremmo garantire norme di sicurezza tali da invogliare la gente a venirci, ai concerti. E il Governo ci dovrà aiutare”. In alternativa? “Altrimenti diventiamo pub, per esempio. Ma sarebbe un peccato, perché per non scomparire ci snatureremmo. E non sono affatto ottimista sul fatto che ci venga concesso quanto chiediamo”.