Franco D’Amico, statistico e membro dell’Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro spiega a Lumsanews le motivazioni che si celano dietro i dati del rapporto dell’Osservatorio Vega. All’interno di Anmil svolge il ruolo di Responsabile dei servizi statistico-informativi, dove svolge attività di formazione e informazione in campo infortunistico con riferimento all’assicurazione e al fenomeno degli infortuni e delle malattie professionali.
Quali sono i motivi alla base della maggiore incidenza delle morti sul lavoro tra i cittadini stranieri?
“I lavoratori stranieri sono occupati prevalentemente in settori ad alto rischio, come le costruzioni, come i trasporti, come l’agricoltura. Il bracciantato straniero è molto diffuso, soprattutto al sud. I rischi sono grossi. Non ricordo di aver visto lavoratori stranieri, specialmente quelli dell’Africa subsahariana o altri, che facciano mestieri, che siano dirigenti o impiegati al Catasto, quantomeno al Ministero delle Infrastrutture. GIi stranieri fanno i lavori che gli italiani ritengono più pericolosi e faticosi, come ripeto, sono le costruzioni innanzitutto, dove vedono i rumeni che sono molto presenti in questo settore e nell’agricoltura i lavoratori dell’Africa subsahariana.”
Cosa si potrebbe fare da un punto di vista normativo per abbassare i numeri, e come vengono monitorate le condizioni di lavoro?
“In generale diciamo che qualcosa si sta muovendo, il fenomeno è in tendenziale diminuzione, sia per gli infortuni che per i casi mortali, infatti diciamo che la media fino al 2019, poi c’è stato del Covid che ha sconvolto tutto. Nel 2020 abbiamo avuto 1.700 morti, perché l’Inail aveva riconosciuto l’infezione da Covid come infortunio sul lavoro, e questo ha portato ad avere 1700 infortuni mortali circa nel 2020 e 1450 nel 2021. Poi nel 2022-23 siamo ritornati ai livelli che si attestano intorno ai 1200-1100 infortuni l’anno e nel 2024, ancorché si tratti di dati provvisori, siamo arrivati a 1090. Qualche cosa si sta facendo soprattutto per i settori più pericolosi, le costruzioni in primis. È stata introdotta la patente a punti nel corso dell’anno scorso, quindi dobbiamo ancora vederne gli effetti. La patente viene assegnata ad ogni titolare di azienda edilizia e consta di 15 punti, sotto i 5 punti non si può più lavorare. C’è tutta una scala di gravità delle sanzioni e ovviamente gli infortuni mortali sono al vertice.
Il settore dei trasporti risulta il più pericoloso dopo quello edile, ma quali sono i motivi alla base di questa statistica?
Poi per quanto riguarda l’altro settore pericoloso, i trasporti, va rimandato tutto alla circolazione stradale, perché il problema è dovuto al fatto che i “padroncini”, cioè quelli che hanno 1 o 2 camion, non hanno un sistema integrato e razionalizzato. Spesso i piccoli trasportatori non hanno un’azienda alle spalle che organizzi bene i carichi, quindi si trovano nella condizione di fare dei viaggi a vuoto. Essendo una perdita di tempo e di denaro riducono i tempi, non riposano, non dormono e il rischio è quello che si può immaginare.”
Dai dati risulta che l’Italia rispetto alla media europea sta facendo abbastanza bene, è vero?
“Oh, meno male qualcuno che lo dice! L’anno scorso Repubblica aveva pubblicato un articolo dove si diceva che l’Italia era in testa alla classifica dei morti sul lavoro a livello europeo. Che era successo? Che Eurostat aveva preso come campione il 2020, l’anno in cui l’Italia insieme alla sola Slovenia aveva riconosciuto le infezioni da Covid come infortuni sul lavoro. Io ho fatto un articolo che contestava questo fatto e dicevo che non era giusto prendere il 2020 e il 2021, come ha fatto Eurostat, perché il dato italiano non era omogeneo rispetto a quello degli altri paesi.”