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HomePolitica Scontro in tv fra il pm Nino Di Matteo e il ministro Bonafede sulle nomine del Dap

Caso mafiosi scarcerati
Il magistrato Di Matteo
contro il ministro Bonafede

Il pm a La7: "Mi voleva capo del Dap ma

ci ripensò forse per pressioni dei boss"

di Giuseppe Galletta04 Maggio 2020
04 Maggio 2020

Il Procuratore Nazionale Antimafie e Antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho, con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ed il presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati di Palermo Nino Di Matteo, nel corso della presentazione relazione annuale Eurojust alla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo a Roma, 28 febbraio 2019. ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI

Si fa sempre più infuocata la questione legata al Dap (il Dipartimento di amministrazione Penitenziaria) e alle scarcerazioni di oltre trecento detenuti condannati per reati di mafia e associazione a delinquere, di cui alcuni con il 41bis.

A riprova che qualcosa non avesse funzionato fra i Tribunali di Sorveglianza e piani alti del Dap lo dimostra il cambio al vertice del dipartimento, voluto dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che vede adesso a capo del dipartimento Dino Petralia, procuratore generale di Reggio Calabria, e come suo vice Roberto Tartaglia, consulente della commissione antimafia.

Ma a complicare ancor di più la questione ci ha pensato Nino Di Matteo, membro del Csm, che ieri sera è intervenuto, con una telefonata in diretta, alla trasmissione Non è l’arena, per precisare alcuni fatti, legati alla nomina in capo al Dap.

Di Matteo racconta che il guardasigilli Bonafede non lo avrebbe nominato nel 2018 alla guida delle carceri italiane, per l’opposizione a questa designazione da parte dei boss mafiosi detenuti. “Bonafede – ha affermato il magistrato – mi chiese se ero disponibile ad accettare il ruolo di capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria o, in alternativa, quello di direttore generale degli affari penali. Chiesi 48 ore di tempo di tempo per dare una risposta”.

“Intanto ero venuto a conoscenza di alcune informazioni che il Gom della polizia penitenziaria aveva trasmesso alla procura nazionale antimafia e alla direzione del Dap, – spiega Di Matteo – secondo cui importantissimi capimafia, legati anche a Giuseppe Graviano e ad altri stragisti, commentavano così l’ipotesi della mia nomina a capo del Dap: «Se nominano Di Matteo è la fine, buttano le chiavi»”.

“Tuttavia – continua il magistrato – andai a trovare il ministro due giorni dopo. Avevo deciso di accettare la nomina di capo del Dap, ma mi rispose che ci aveva ripensato”. Anziché la nomina al Dap, nel secondo incontro, “il ministro mi chiese di accettare il ruolo di direttore generale al ministero. Il giorno dopo gli dissi di non contare su di me perché non avrei accettato”.

Poco dopo l’intervento del magistrato, arriva la telefonata di Bonafede che definendosi “esterrefatto” dalle parole di Di Matteo si difende così: “Gli ho parlato della possibilità di fargli ricoprire uno dei due ruoli di cui ha parlato lui. Gli dissi che tra le due cariche per me era più importante quello di direttore degli affari penali, più di frontiera nella lotta alla mafia ed era stato il ruolo ricoperto da Giovani Falcone”.

Messo in onda in tardissima serata, quasi a mezzanotte, lo scontro non è sfuggito alla presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: “Fossi Alfonso Bonafede, domani mattina rassegnerei le mie dimissioni di ministro della Giustizia”.

Su Twitter la vice presidente della Camera Mara Carfagna scrive così: “Le accuse del pm Di Matteo al ministro Bonafede sono gravi, andrebbero sollevate nelle sedi opportune, non in tv”,

Dura anche la Lega, secondo cui Bonafede non può più essere il ministro della Giustizia: “Dopo le dichiarazioni gravissime del dottor Di Matteo e le risposte imbarazzanti rese dallo stesso Guardasigilli, non resta che questa decisione già indicata da tempo dalla Lega”.

“So che Bonafede forse non ragionerebbe così, ma se un ministro dovesse dimettersi per i sospetti di un magistrato, si creerebbe un precedente gravissimo. Il sospetto non è l’anticamera della verità, sinché non verificato resta un sospetto”, si legge nel tweet del vicesegretario del Pd Andrea Orlando.

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