Dopo dieci giorni di tensioni, ieri, alle prime luci del mattino, l’esercito israeliano ha invaso la città di Ramallah, sede del Parlamento e dei vari ministeri palestinesi. Un’occupazione che ha causato circa trenta feriti e due morti, che aggiunti ai due ragazzi assassinati lo scorso venerdì 20 giugno, portano a quattro il numero di palestinesi rimasti uccisi in questi giorni.
L’obiettivo delle jeep e dei mezzi blindati israeliani era raggiungere la stazione di polizia di Ramallah, a pochi passi dalla piazza centrale al Manara, per effettuare un arresto legato alla scomparsa di tre giovani israeliani sulle cui tracce i militari sono da quasi due settimane. L’incursione nel cuore della Palestina, giustificata quindi dal presunto rapimento, ha causato le ire dei cittadini di Ramallah che non hanno esitato a schierarsi al fianco delle forze dell’ordine locali per difendere la propria città. Ecco nascere la guerriglia che ha messo a ferro e fuoco, per l’intera giornata, la città della Cisgiordania tra cassonetti e pneumatici dati alle fiamme, fino ai sampietrini rimossi e tirati contro l’esercito israeliano. Qui hanno perso la vita Mahmoud Ismail Atallah, 30 anni, e Ahmad Fahmawi, 26 anni, che, secondo le testimonianze, si sarebbero lanciati contro i soldati israeliani.
L’esercito avrebbe risposto con candelotti lacrimogeni e proiettili di metallo rivestiti in gomma prima di abbandonare lo scontro e allontanarsi dal centro di Ramallah. Una ritirata probabilmente momentanea che non mette certo la parola fine alla questione. Nel corso della notte, infatti, sono state arrestate altre sei persone portando il totale a 340, due terzi dei quali membri dell’organizzazione paramilitare Hamas. Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha dichiaratoche il Governo dispone di “prove inequivocabili” sul ruolo di Hamas nel rapimento dei tre giovani israeliani, facendo crescere il timore dello scoppio di una terza Intifada.
Corinna Spirito