Manuela Pascarella, responsabile reclutamento della Flc Cgil Scuola, ha descritto per Lumsanews le posizioni del sindacato sul salario minimo.
Qual è la posizione della Cgil sull’ipotesi di introdurre una legge sul salario minimo?
“Come Cgil riteniamo che il tema del salario minimo vada affrontato nel quadro di un accordo con le parti sociali. Ci sono dei settori lavorativi che sono fuori dalla contrattazione collettiva, oppure dove si siglano contratti cosiddetti “pirata”, cioè da organizzazioni sindacali non rappresentative, che fanno un gioco al ribasso rispetto al salario dei lavoratori e ai diritti. Una misura come il salario è un tema su cui si può ragionare, per noi della Cgil, a patto che innanzitutto si ribadisca il primato dei contratti collettivi, in quanto strumento che non solo definisce le condizioni salariali della prestazione lavorativa, ma introduce una serie di garanzie, dalla maternità, malattia, della sicurezza del lavoro, che esulano dal tema del salario, ma altrettanto importante per definire la dignità di ogni lavoratore”.
Spesso insieme a questo tema si parla anche di una legge sulla rappresentanza…
“Una legge sulla rappresentanza permetterebbe all’organizzazione sindacale di acquisire una legittimità in funzione del numero di operatori e di lavoratori di un determinato settore che rappresenta. Se quella rappresentatività il sindacato non ce l’ha, non può firmare, almeno non da solo, contratti collettivi che poi vengono applicati a lavoratori che non si sentono rappresentati da quella sigla. Quindi una legge sulla rappresentanza, il primato dei contratti collettivi nazionali e il coinvolgimento attivo del sindacato in un ragionamento sul salario minimo sono i tre elementi da cui non si può prescindere.”
Se quindi non ci fossero rispettati questi punti, l’introduzione di un salario minimo avrebbe conseguenze sul mercato del lavoro?
“Certo, conseguenze molto pericolose. Se abbiamo un settore che ha tutele maggiori definite attraverso un contratto collettivo nazionale e se si introduce per legge un salario minimo senza che venga definito un sistema di tutele e il primato del valore del contratto di categoria, i datori di lavoro in quel settore, applicando la norma, possono ridurre le tutele e possono apportare dei peggioramenti alla condizione salariale. L’applicazione del salario minimo in un settore dove la paga è più bassa, può essere un miglioramento. Però il tema va affrontato con i dovuti accorgimenti. Deve essere uno strumento per migliorare le condizioni salariali di chi è più svantaggiate e quindi per quelli che prendono una paga inferiore ai 9 euro discussi ora. Ma non deve diventare un’arma per i datori di lavoro”.
Chi critica la posizione dei sindacati pensa sia frutto di un timore di perdere peso a livello di potere contrattuale a favore dello Stato…
“Il potere contrattuale del sindacato è uno strumento al servizio dei lavoratori. L’interesse del sindacato non è tutelare sé stesso, ma la condizione di chi lavora. Il timore del sindacato quindi è che il suo indebolimento coincide con l’indebolimento della condizione di chi lavora.”
L’osservatorio Domina ha pubblicato uno studio che stimava un aumento del 91% dei costi per colf e badanti in caso di introduzione del salario minimo. Sarebbe dovuto al fatto che si tratta di categorie sottopagate o a un effetto distorsivo della norma?
“Io mi riservo di mettere in discussione questo dato. Il contratto di categoria colf e badanti è un contratto che non prevede le paghe orarie più alte, però parlare di un aumento dei costi del 90 per cento è come affermare che questi 9 euro fossero il doppio di quello che percepisce il lavoratore. Contratti alla mano e conti alla mano non è assolutamente così. Ricordo inoltre che il contratto collettivo ha tutele che vanno al di là della paga oraria. Il salario minimo può dare un impulso a determinati settori e ambiti per innalzare i redditi dei lavoratori, ma deve essere fatto dentro la cornice dei contratti. Perché se una persona si ammala non ha nessuna tutela in termini di assistenza e contributi, assicurazione etc. Sono tutti elementi complessivi che vanno tenuti presenti.”
In alcuni Paesi europei la norma è già stata adottata.
“In Europa, complessivamente, un lavoratore su 10 è in condizione di povertà, perché guadagna meno di 9 euro l’ora. Si assiste inoltre a fenomeni di delocalizzazione delle aziende, e quindi di dumping salariale. Le direttive, poi, richiedono che gli Stati membri adottino una legislazione che viene definita di volta in volta. Per questo noi siamo favorevoli a un ragionamento complessivo europeo, anche a livello di organizzazioni sindacali . Però deve essere applicato in ogni Paese nel modo più corretto. Guardando al contesto italiano, non possiamo non mettere in evidenza il dumping contrattuale, ossia i contratti pirata. Per questo chiediamo come prima cosa la legge sulla rappresentanza, perché dobbiamo distinguere tra distinguere organizzazioni sindacali create ad hoc e che non rappresentano nessuno o quasi per firmare accordi al ribasso sulla pelle dei lavoratori, e sindacati che hanno un livello di rappresentanza tale di una categoria da renderli deputati a siglare un contratto che veramente rappresenti i lavoratori di quel settore. Sempre insieme ai contratti collettivi nazionali.”