Un mestiere pericoloso, quello del giornalista. Lo certifica anche quest’anno il rapporto pubblicato da Reporters sans frontieres: 65 i giornalisti – fra cui 50 professionisti – e gli operatori dei media uccisi nel 2017 in tutto il mondo. Dal 2012, comunque, la tendenza è in costante ribasso, e l’anno in corso testimonia il dato più basso degli ultimi 14 anni.
Sui totale indicato nel documento, 39 sono stati scientemente assassinati e 26 sono rimasti uccisi mentre esercitavano la professione. La Siria mantiene il primato di luogo più pericoloso con 12 morti, davanti al Messico (11 giornalisti morti), l’Afghanistan (9), l’Iraq (8) e le Filippine (4).
Secondo l’organizzazione, il calo è dovuto alla “presa di coscienza crescente della necessità di proteggere meglio i giornalisti e alla moltiplicazione delle campagne realizzate in questo senso dalle organizzazioni internazionali e dagli stessi media”. Ma anche al fatto che “Paesi divenuti troppo pericolosi si svuotano dei loro giornalisti”. Emblematico il caso di “Siria, Iraq, Yemen e Libia, dove si assiste a un’emorragia della professione”.
“Condurre le indagini in alcuni Paesi in pace sta diventando pericoloso quanto la copertura di un conflitto” ha commentato a margine della presentazione del rapporto il segretario generale di Rsf Christophe Deloire. e ha aggiunto che “alcuni Paesi si distinguono per il numero insolito di giornalisti prigionieri. E’ il caso, ad esempio, di Russia e Marocco. La Cina e la Turchia sono ancora le più grandi prigioni di giornalisti nel mondo, seguite da Siria, Iran e Vietnam”. I dati per il 2017 parlano anche di 326 reporter detenuti.
Raddoppiato inoltre il numero delle giornaliste donne uccise: dieci morti contro i cinque censiti nel 2016. Si tratta in quasi tutti i casi di giornaliste investigative esperte che, nonostante le minacce, hanno continuato ad indagare: tra loro Daphne Caruana Galizia a Malta, Gauri Lankesh in India e Miroslava Breach Velducea in Messico.
Infine, 54 giornalisti si trovano nelle mani di gruppi armati non statali, come l’Isis o gli Houthi nello Yemen. Molti ostaggi sono giornalisti locali, che spesso lavorano in condizioni precarie e rischiose. I giornalisti stranieri sequestrati fino ad oggi sono stati tutti rapiti in Siria, e ad oggi non si sa dove si trovano.