La vicenda si è svolta in pochi attimi. Sotto lo sguardo impotente di un poliziotto e un funzionario Ben Hamdani Fethi, un tunisino di 45 anni, si è lanciato dal terzo piano del palazzo del commissariato Viminale. Un volo di circa dieci metri concluso con l’impatto mortale all’altezza del civico 46 di via Farini. Fethi, che aveva precedenti per violenza sessuale, era stato arrestato appena mezz’ora prima con l’accusa (mossa da un suo connazionale) di aver molestato una donna la sera di sabato in via Bissolati.
Erano le cinque e mezza del pomeriggio quando l’uomo ha deciso di togliersi la vita, orario di punta per la capitale e i rumori del traffico hanno coperto il suono del tonfo. Solo il caos successivo ha allarmato i commercianti della zona che, usciti dai loro negozi, si sono così trovati davanti il corpo di Fethi coperto da un lenzuolo bianco.
Secondo il racconto degli agenti al momento dell’interrogatorio l’uomo appariva abbastanza agitato e aveva chiesto di poter parlare al telefono con la moglie, di origine italiana, ma il permesso gli era stato negato. Viene accolta invece la richiesta di un bicchiere d’acqua, che si rivelerà alla fine essere un espediente per distogliere l’attenzione degli agenti e gettarsi nel vuoto. Approfittando della distrazione del poliziotto andato a prendere il bicchiere, in pochi secondi l’uomo è corso verso la finestra, ha aperto i battenti con una spallata e si è lanciato nel vuoto.
Per il magistrato Paolo D’Ovidio, la vicenda non ha punti oscuri. Il racconto degli agenti ccorrisponderebbe con quanto realmente accaduto. Per questo motivo l’inchiesta è stata aperta senza ipotesi di reato e si sta indagando sullo stato psicofisico dell’uomo.
Silvia Renda
