E alla fine la terza stella arrivò. Da ieri la Juventus è ufficialmente campione d’Italia per la trentesima volta, grazie alla sconfitta per 4 a 1 dell’ultima inseguitrice, la Roma, sul campo del Catania. La festa sul campo ci sarà stasera allo Stadium contro l’Atalanta – quarta partita giocata di lunedì in un mese, in virtù della nuova politica federale per favorire le squadre impegnate in Europa League – a cui seguirà poi domenica 18, dopo l’ultima giornata, la tradizionale sfilata per Torino sul pullman scoperto.
30 o 32? Grande è la gioia in casa bianconera, condita anche quest’anno da un filo di polemica per i due scudetti revocati ai tempi di Calciopoli, quando la Juventus fu addirittura retrocessa in serie B. I calciatori della prima squadra hanno infatti brindato indossando una maglietta nera con la scritta “Non c’è 2 senza 3”, che con un sapiente gioco grafico metteva però in risalto non tanto l’invidiabile tris – non accadeva dagli anni Trenta, quando la Juve vinse addirittura cinque campionati di seguito – quanto il numero 32. Non solo i tifosi, infatti, ma anche la società non ha mai accettato davvero le decisioni della giustizia sportiva, e da anni i festeggiamenti “ufficiali” si arricchiscono di maglie con scritte ai limiti del regolamento come “30 sul campo” (nel 2012) oppure di maxiscudetti alzati come trofei con la scritta “31” come nel 2013.
Juve da record in Italia, opaca in Europa. Quella 2013-2014 verrà ricordata come la Juve dei primati nel campionato italiano: di punti – alla fine potrebbero essere addirittura 102 – di gol fatti e probabilmente anche subiti (al momento sono solo 23), che alla fine hanno portato Buffon e compagni a mantenere lo scudetto sul petto e ad appuntargli accanto la terza stella. Meno brillante invece la stagione della Juventus nelle coppe: dopo aver vinto in agosto la Supercoppa italiana travolgendo la Lazio, la Juve è arrivata soltanto terza nel suo girone di Champions League, con la conseguente retrocessione in Europa League, dove ha poi perso la semifinale contro i portoghesi del Benfica. Appena tre partite disputate invece in Coppa Italia, dove è stata eliminata nei quarti dalla Roma.
Conte e Garcia. A parte la perdurante irrilevanza in Europa – dove la prima squadra italiana resta sempre il Milan – sono in ogni caso indubbi i meriti dell’allenatore Antonio Conte, che tre anni fa ha assunto la guida di una squadra modesta, attivata settima per due anni consecutivi, e l’ha portata immediatamente a vincere tre campionati su tre, oltre a due Supercoppe nazionali. Ottima anche la gestione societaria, con la progressiva integrazione nel gruppo storico di nuovi campioni – Pirlo e Tevez su tutti – senza avere paura di rinunciare a parte del suo glorioso passato, a cominciare dallo storico ex capitano Alessandro Del Piero, emigrato in Australia due anni fa.
Il tecnico della Roma Rudi Garcia – che nelle ultime settimane ha avuto alcuni screzi verbali con Conte, e che continuerà a “scontrarsi” con lui nei prossimi giorni, sia sul campo domenica prossima che fuori per il premio Panchina d’oro – ha riconosciuto la sconfitta, assumendosi la colpa per la brutta figura rimediata dalla sua squadra a Catania, e auspicando rinforzi per la prossima stagione.
Di Alessandro Testa