A 80 dalla firma delle leggi razziali, una rappresentazione teatrale all’Auditorium di Roma ricorda questa terribile pagina del Novecento. “Il processo”, che è andato in scena ieri sera nella Sala Sinopoli, ha messo sul banco degli imputati il Re Vittorio Emanuele III tramite la partecipazione di veri giudici, avvocati, esperti e testimoni per un esame a tutto tondo delle leggi anti-ebraiche. Sul sovrano grava la colpa di averle firmate in nome della “difesa della razza”. Questo accadde nel 1938, dopo l’emanazione da parte del parlamento e del governo Mussolini. I provvedimenti sconvolsero la vita sociale, politica ed economica di migliaia di italiani di religione ebraica, ponendo fine ai diritti di uguaglianza che un altro Savoia, Carlo Alberto, aveva garantito al popolo italiano dal 1848.
Lo spettacolo ha come fulcro il sovrano – le cui spoglie sono da poco rientrate in Italia – con l’obiettivo di arrivare ad una vera comprensione di ciò che accadde. La voce narrante di Marco Balliani pone l’accento anche su alcune personalità di religione ebraica che in molti casi rappresentavano il meglio della società. Ad esempio, le leggi, basate su folli concezioni pseudoscientifiche, fecero sì che personalità come Rita Levi Montalcini, Franco Modigliani, Beniamino Segre venissero espulse dalle università. Fra le testimonianze anche quella della nipote dell’astrofisica, Piera Levi Montalcini. La rappresentazione fa parte delle celebrazioni della Giornata della memoria, organizzata da Unione delle Comunità Ebraiche italiane (Ucei) e dalla Presidenza del Consiglio e anticipa il programma capitolino.
Alla presenza di autorità come la presidente della Camera Laura Boldrini, la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli, e la presidente dell’Ucei Noemi Di Segni, scritto da Viviana Kasam e Marilena Citelli Francese, ‘Il processo’ ha visto la partecipazione di molti studenti in sala, principali destinatari di questa iniziativa. Se sullo schermo dell’auditorium campeggiano le eccezionali parole di Primo Levi “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”, in scena la Corte arriva ad un verdetto: Vittorio Emanuele III ne esce come il capo dello stato che non volle opporsi come avrebbe potuto fare.